Aborto con sconto, scandalo in Cina

SONO UN MILIARDO e trecentomila, più, si dice, altri 500 milioni di persone non registrate all’anagrafe. Esseri umani che non esistono perché non hanno un nome, non avranno mai un banco a scuola né un letto in un ospedale né un lavoro regolare.

Da tempo si parla di donne che, avendo già un figlio, sono costrette con la forza ad abortire, e vengono poi dolorosamente “rieducate” e sterilizzate. E naturalmente è grande il sospetto che quei tredici milioni di bimbi abortiti siano in gran parte femmine, perché da quando è stata introdotta la politica del figlio unico nascono 120 maschi ogni 100 femmine, e in regioni come il Guangdong anche 130.

L’ultimo scandalo è stato denunciato dall’agenzia di Stato Nuova Cina, e riguarda la facilità con cui vengono praticati gli aborti dalle ragazze più giovani. Poco più di un mese fa, Nuova Cina ha pubblicato per la prima volta le statistiche ufficiali sull’aborto esprimendo «preoccupazione per la diffusione della pratica fra i più giovani». Nel mirino in particolare è finito l’ospedale di Huaxi, nella città di Chongqing, che secondo il quotidiano China Daily offre sconti del 50% alle studentesse. Mostrando il tesserino universitario ecco garantito il saldo, quello che a Genova si chiama “sbarazzu”.

L’ospedale, interpellato ieri dall’Ansa, ha negato che esistano «sconti per studenti» ma le pubblicità parlano chiaro. «Gli studenti sono il nostro futuro, ma quando succede loro qualcosa, chi li protegge?» recitava lo spot dell’ospedale citato dal China Daily. «L’operazione è veloce, non fa male e non modifica l’utero».

A impressionare, e questo l’ospedale lo conferma tranquillamente, è il fatto che in Cina l’aborto si pratica spesso anche al settimo e ottavo mese. Navigando sui siti Internet è facile trovare banner di piccole cliniche private che pubblicizzano gli aborti. Le parole chiave come «aborto facile, tecnica indolore» rimandano a finestre con i consigli degli “esperti”: «Al nono mese? Si può fare, ma è meglio evitarlo perché il tasso di sopravvivenza del bambino è alto, e sarebbe uno spreco economico».

Nel 2002 la Cina ha vietato la diagnosi del sesso prenatale, proprio per evitare aborti selettivi di femmine. Nel regolamento attuativo si dice tra l’altro che per abortire dopo 14 settimane serve «l’approvazione delle autorità»; e nel 2003 si è aggiunto che «la vita del feto non si dovrebbe in ogni caso mai interrompere dopo le 27 settimane». Tuttavia non si tratta di una legge e non sono previste pene per chi agisce diversamente.

Preoccupato per l’aumento di aborti tra le giovanissime, il governo ha ora deciso di vietare a Chongqing ogni forma di pubblicità sui media. Una di queste ha fatto scalpore: la top model Lin Zhiling ha infatti citato in giudizio una clinica di Dongguan per aver pubblicizzato «aborti indolori e in due minuti», a 40 euro, usando una sua foto senza consenso. Le cliniche aggirano il divieto di pubblicità entrando direttamente nelle scuole e contendendosi le possibili clienti a colpi di sconti. Ma ora il governo sembra intenzionato a porre un freno. Un conto è la prevenzione, un altro è che l’aborto diventi troppo facile e venga usato come metodo di contraccezione.

Fonte: Il Secolo XIX.it, 6 settembre 2009

Vai all’articolo

Condividi:

Stampa questo articolo Stampa questo articolo
Condizioni di utilizzo - Terms of use
Potete liberamente stampare e far circolare tutti gli articoli pubblicati su LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, ma per favore citate la fonte.
Feel free to copy and share all article on LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, but please quote the source.
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Internazionale.