Acc, l’azienda comprata dai cinesi ora taglia ferie, malattia e costo del lavoro

I lavoratori si chiedono se in Italia sia legale, ma l’alternativa era la chiusura.Dichiarata insolvente, e posta in amministrazione straordinaria nel giugno 2013, l’azienda è stata salvata dal Wanbao Group Co Ltd di Guangzhou.

Diminuzione dei giorni di ferie, paletti a quelli di malattia, taglio del costo del lavoro e taglio dell’organico. È la cura Made in China per un’azienda fiore all’occhiello del Made in Italy, altro caso significativo di un Nordest ex locomotiva d’Italia: la Acc Compressors di Mel (Belluno), fondata nel florido 1966 e maggior produttrice italiana ed europea di compressori ermetici per refrigerazione domestica.

In difficoltà per una malagestione che l’ha fortemente penalizzata, dichiarata insolvente, e posta in amministrazione straordinaria nel giugno 2013, l’Acc Compressor ha annaspato fino ai primi di luglio, quando è arrivata l’ancora di salvezza: ad aggiudicarsi la gara internazionale per la cessione del complesso bellunese è la Wanbao Group Compressor Co Ltd, con sede a Guangzhou in Cina, uno dei leader mondiali del settore del compressore che garantirà allo stabilimento di Mel la continuità industriale, con l’assegnazione di 3.200.000 compressori nel 2014 e di 3.600.000 nel 2016.

Lieto fine? Non proprio. Perché per acquisire la Acc e rilanciarla la Wanbao pone una cura da cavallo, tanto da portare i lavoratori a chiedersi, sulle pagine del Gazzettino di Belluno, “se questo sia legale, perché siamo in Italia”: dalla riduzione dei giorni di ferie a condizioni più rigide per i permessi di malattia, oltre al taglio dello stipendio: inizialmente, del 10% “poi salito al 27%”, afferma Bruno Deola, rappresentante sindacale Acc. “Forse riusciamo ad arrivare al 16%. Stiamo cercando di rivedere la parte più spinosa, ossia il costo del lavoro e la gestione dei 455 lavoratori con la garanzia di almeno due, tre anni”.

Già, i lavoratori. Da 600 (in cassa integrazione da ormai otto anni), si ripartirà da 300 unità, a cui saranno aggiunte altre 50, fino ad arrivare a 455 lavoratori entro l’anno, pena sanzione economica.

I lavoratori di Mel storcono il naso: vedono l’accordo con i loro nuovi datori come un gioco al ribasso, dove a perdere sono i loro diritti. “Le condizioni sono, ahimè, quelle cinesi. Trattando con un’azienda italiana o europea avremmo avuto una base di riferimenti. Qui partiamo da zero” spiega Elena Donazzan, assessore al Lavoro della Regione Veneto, dove oggi si è svolta una riunione tra le parti.

È lei che ha seguito da vicino il caso, fin dal commissariamento, creando allora un comitato istituzionale di sorveglianza composto da sindaci e senatori del territorio, gestendo il rapporto con il Mise. Oggi, però, l’assessore vede il bicchiere mezzo pieno: “I cinesi non comprendono lo status quo dei lavoratori di Mel – continua l’assessore Donazzan -. Purtroppo sono mancate politiche industriali di difesa per questo settore: oggi è difficile accettare di perdere dei pezzi, ma l’alternativa è la chiusura”.

Anna Martellato,La Stampa,29/07/2014

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