Aung San Suu Kyi in Cina incontra Xi Jinping

La prossima settimana Aung San Suu Kyi si recherà in Cina per la sua prima visita, su invito del Partito Comunista Cinese. Incontrerà il Presidente Xi Jinping e le più alte cariche dello Stato. Un evento straordinario, un segno del cambiamento politico in Asia, da seguire con attenzione.

In questo contesto negli ultimi tempi il mondo si è accorto del dramma dei Rohingya.

A migliaia fuggono dalla Birmania, dallo stato del Rakhine, e per mesi vagano sulle barche nel Golfo del Bengala senza possibilità di approdo. Sfiniti, affamati, sfruttati dai trafficanti, uccisi.

Sono musulmani, trasferiti dal Bangladesh in Birmania dall’impero coloniale inglese, in tensione con la locale popolazione buddista. Ci sono state violenze, e morti. Quello che appare come conflitto religioso in realtà copre problemi sociali, economici, politici. I problemi dei confini, delle terre, delle case, del lavoro, della cittadinanza e dei suoi diritti.

A chi chiedere conto dell’attuale situazione? Al Governo del Myanmar, innanzitutto. Più di cinquant’anni di dittatura militare hanno consolidato la situazione esistente, le disuguaglianze, le violenze, la violazione dei diritti umani, e impedito ogni intervento internazionale considerato come interferenza.

Del resto il Myanmar era un Paese totalmente chiuso al mondo. Negli ultimi anni poi lo stesso Governo ha lasciato crescere il conflitto religioso in nome del nazionalismo.
Oggi la soluzione del problema può venire soltanto da un coinvolgimento internazionale e dal cambiamento politico in Myanmar.

Sul primo punto, messa in conto purtroppo la debolezza dell’Onu, si è mossa di recente l’Asean (Associazione dei Paesi del Sud-Est Asiatico) di cui fa parte anche il Myanmar. Riuniti nei giorni scorsi a Bangkok, i Paesi dell’Asean hanno chiamato in causa il Governo birmano e manifestato una pur timida volontà di soccorso da parte dei Paesi limitrofi. Non basterà.

La globalizzazione del mondo, i nuovi assetti che vanno configurandosi in Asia, la paura nei confronti di una strategia internazionale dell’Islam, chiamano in causa altri soggetti, come l’India, il Bangladesh, la Cina, gli Usa, la stessa Unione Europea. E’ certo che la questione non può essere lasciata solo nella mani del Myanmar.

Quanto al cambiamento politico necessario in Birmania, è Aung San Suu Kyi la protagonista della grande battaglia politica per il cambio del Governo nelle prossime elezioni.

Non possiamo per altro dimenticare, per la verità della storia, che nel 1990, con lei agli arresti domiciliari, il suo partito nato da poco, la Lega Nazionale per la Democrazia, vinse le elezioni politiche. La Giunta militare al potere le annullò, non convocò mai il nuovo Parlamento e tenne Aung San Suu Kyi agli arresti domiciliari fino al 2010. Se le fosse stato consentito allora di governare, ben diversa sarebbe oggi la condizione della Birmania e dei Rohingya.

Il Sole 24ore, 06/06/2015

English version: Radio Free Asia, Aung San Suu Kyi to Make Five-Day Visit to China

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