Aung San Suu Kyi, nel segno di Gandhi e Mandela. E ora il rompicapo Myanmar

Una vita sulle orme del Mahatma Gandhi e di Nelson Mandela. Fin da quella dilaniante scelta del 1988: lasciare a Oxford i suoi studi, il marito e due figli piccoli per dedicare la vita al popolo birmano e al suo paese, nel segno del padre, fondatore della patria a partire dall’indipendenza dalla Gran Bretagna.

Aung San Suu Kyi, una vita trascorsa da allora perlopiu agli arresti domiciliari alla mercé di una giunta militare che non riconobbe la sua vittoria elettorale nel 1990 e che ha governato il Myanmar, l’ex Birmania, con il pugno di ferro alimentando gli odi etnici e i traffici malavitosi che fanno perno sul triangolo d’oro (del traffico di stupefacenti). Fino alla liberazione nel 2010 e a oggi, con il trionfo alle elezioni ancora una volta, 25 anni dopo.

Non violenta, ma testarda e paziente, nell’accezione asiatica del termine, oltre ogni misura al significato che possiamo dare a queste parole in occidente. E nel segno di Mao alla fine ha potuto “guardare il ‘cadavere’ del suo nemico trasportato dalla corrente del fiume”, quella giunta che è crollata su se stessa e a alla quale non è bastato neppure riservarsi un quarto dei seggi del futuro parlamento e impedirle di assumere la carica di presidente per una legge che vieta la carica a chi ha marito e figli di un’altra nazionalità.

Una beffa amara per il premio Nobel, che ha pagato a duro prezzo questa vittoria: nel 1999 rinuncio a tornare in Inghilterra al capezzale del marito malato per timore che la giunta non l’avrebbe fatta poi tornare nel suo paese, scelta che ruppe anche il rapporto (a distanza) con il figlio maggiore - quello che in sua vece pronunciò il discorso di accettazione del Nobel della Pace nel 1991 - e che non condivise la sua scelta.

Ma non avrà il tempo di festeggiare la vittoria elettorale: la dittatura lascia un paese a pezzi, diviso tra gruppi etnici e gruppi di potere legali e non, in un momento cruciale per la regione, messa lì tra i giganti India e Cina, con Pechino (super?)potenza in fieri che comincia a fare la voce grossa.

Myanmar-Birmania non svolge solo un ruolo regionale. Gli Stati Uniti guardano con attenzione gli sviluppi nel Paese, sempre più cerniera tra Est e Ovest. Le sfide per Aung San Suu Kyi statista sono innumerevoli. A partire dal dramma dei Rohingya, perseguitati e scacciati da tutti i paesi vicini.

La Repubblica.it, 09/11/2015

English article, The Guardian:

Myanmar election: Aung San Suu Kyi’s party heading for decisive victory

 

 

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