Le aziende cinesi sotto la lente
PRATO. A nove mesi dall’incendio alla fabbrica-dormitorio “Teresa Moda” (sette operai cinesi morti nel sonno), è partito ieri il piano straordinario di controlli delle aziende cinesi di Prato e dell’area vasta Firenze-Empoli-Pistoia voluto dal presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi.
Costerà 13 milioni di euro, durerà tre anni e punterà a rendere sicure tutte le 7.700 aziende manifatturiere cinesi dell’area (di cui 4mila concentrate a Prato), attive soprattutto nei settori abbigliamento, pelletteria e mobile, eliminando dormitori e cucine abusive, bombole a gas pericolose, impianti elettrici fatiscenti. Restano fuori dal perimetro dei controlli regionali evasione fiscale e lavoro nero, profili che saranno segnalati alle autorità competenti.
Si tratta di un’operazione – per la cui realizzazione sono stati assunti nelle Asl 74 nuovi tecnici della prevenzione e sicurezza sul lavoro – complicata dalla consolidata tendenza delle aziende cinesi a cambiare nome e sede (facilitate dalla natura di ditte individuali) e dalla loro inarrestabile crescita: nel primo semestre dell’anno le confezioni di abbigliamento a Prato, al 90% in mano a imprenditori cinesi, sono cresciute ancora (+0,2%), toccando quota-record di 4.021.
«È per questo che l’obiettivo fondamentale dei controlli sarà colpire i trasformismi, intervenendo nei primi mesi di vita delle aziende», spiega Renzo Berti, coordinatore del piano straordinario partito al ritmo di 42 controlli a settimana, destinati a salire a 60 in ottobre e a 90 in novembre. A fine anno, assicura Berti, le aziende cinesi controllate saranno più di mille. In realtà, la carta su cui la Regione conta per riuscire a centrare un risultato così arduo è il Patto fiduciario per la sicurezza: le aziende che lo firmeranno, accettando «l’identificazione del vero titolare dell’azienda e l’individuazione di un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza», avranno più tempo per mettersi in regola, visto che saranno tra le ultime ad essere controllate dagli ispettori.
L’adesione al Patto potrà essere patrocinata da un’associazione di categoria che, in collaborazione con gli ordini professionali, potrà aiutare le aziende in questo percorso «con un supporto professionale qualificato e a costi sostenibili», afferma la Regione. Il presidente Rossi ha già auspicato che «centinaia di imprenditori cinesi aderiscano al Patto», anche se ancora nessuno lo ha fatto: solo da pochi giorni il testo è stato tradotto in cinese, e ora è cominciata l’attività di comunicazione alla comunità che dovrebbe portare alle prime adesioni.
Il Patto e il piano regionale dei controlli appaiono come l’ultima chance per provare a debellare un fenomeno che imbarazza la Toscana e l’Italia, scandalizza l’Europa (e non solo) e “bolla” ormai Prato – antica capitale del tessile, ancora oggi attività trainante del territorio seppur ridimensionata – come il regno dell’illegalità cinese. In poco più di vent’anni l’imprenditoria cinese ha costruito qui un distretto degli abiti low cost che conta 4mila aziende, 30mila addetti per due terzi in nero, e due miliardi di giro d’affari per il 50% sommerso: un gigantesco polo manifatturiero che controlla tutti gli anelli della filiera (eccetto il tessuto, importato dalla Cina) e che sfugge alle regole italiane facendo concorrenza sleale a prezzi stracciati. Nell’indifferenza di molti, non toccata dalla morte dei sette operai.
Fonte: ilsole24ore.com, di Silvia Pieraccini, 2 settembre 2014
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