Carcere cinese per il ferro di Rio Tinto
La Cina non è più il paradiso dei capitalisti di mezzo mondo. Dopo la vicenda di Google, e ieri con le pesanti condanne a quattro dirigenti della compagnia mineraria australiana Rio Tinto è praticamente clima di burrasca per le aziende straniere che operano in Cina e non obbediscono alle regole del posto.
È finito il vecchio clima di far west, quando le ditte di fuori potevano contare su uno o due occhi chiusi. Ma cominciano anche a serpeggiare timori, perché le regole qui non sono cristalline e di certo alcune aziende, con più forti legami con lo stato, sono più speciali di altre.
Il tribunale di Shanghai ha infatti comminato pene dai sette ai 14 anni a tre dirigenti della Rio Tinto di cittadinanza cinese e uno australiano per corruzione e furto di segreti di stato. L’australiano di origine cinese, Stern Hu, general manager della Rio Tinto in Cina, ha ricevuto una condanna a dieci anni.
La rappresentanza consolare al processo è stata esclusa da alcune giornate del dibattimento, quando i giudici trattavano sulla questione dei segreti di stato.
La vicenda ha contorni molto opachi. I quattro in sostanza hanno ricevuto pagamenti personali da acciaierie cinesi per assicurarsi che le forniture di ferro arrivassero senza ritardi.
La Cina è il più grande produttore di acciaio del mondo che finisce spesso ad armare il cemento delle folle di palazzi e strade che si costruiscono ogni giorno. Ritardi nella consegna dell’acciaio significa gravi profitti e perdite per una fabbrica.
Secondo il tribunale i quattro hanno “senza dubbio” ricevuto mazzette per 13,5 milioni di dollari e hanno ottenuto segreti grazie ai quali 20 acciaierie cinesi hanno pagato 1,02 miliardi di yuan (circa 110 milioni di euro) in più per le forniture dalla Rio Tinto, il secondo maggiore produttore di ferro del mondo.
La Rio Tinto è anche uno dei maggiori forniture di ferro alla Cina, dove esporta ogni anno merce per il valore di decine di miliardi di euro.
Qui cala l’ombra più fosca sul caso. Molti pensano che la condanna sia una forma di ripicca dopo che l’anno scorso l’Australia ha bloccato nello sprint finale una enorme operazione di acquisizione cinese.
L’azienda mineraria cinese Chinalco aveva offerto di diventare partner strategico della Rio Tinto con un investimento nell’azienda australiana di 19,5 miliardi di dollari. L’accordo avrebbe assicurato alla Cina una stabile fornitura di ferro.
D’altro canto avrebbe messo di fatto l’industria mineraria australiana, la più importante e strategica del paese, nelle mani di un’azienda straniera con interessi opposti a quelli dell’Australia. Il paese infatti, come produttore, ha interesse a tenere i prezzi del minerale alto, la Cina come consumatore, ha interesse a tenerli bassi.
Ora comunque la condanna dei quattro arriva in un momento di grande nervosismo tra le aziende straniere che operano in Cina.
Google nei giorni scorsi ha annunciato la sua fuoriuscita dal paese, anche se nei fatti c’è stato un compromesso, visto che nulla è cambiato nell’utilizzo del motore di ricerca in Cina.
Francesco Sisci
Fonte: La Stampa, 30 marzo 2010
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