Catastrofe umanitaria nella Cina del figlio unico
di Anna Bono
Nel 1979 in Cina è stata varata la politica del figlio unico per il contenimento della crescita demografica e da allora in Cina è vietato procreare senza il consenso del governo. La pianificazione delle nascite nella definizione del regime di Pechino consiste infatti nella “riproduzione di bambini meccanica e controllata dallo stato” al quale spetta decidere “quanti bambini può avere una famiglia e a che distanza di tempo l’uno dall’altro, in base alle esigenze dello sviluppo economico”.
A tal fine è stata istituita una Commissione statale che attualmente impiega 520.000 “cellule” (così vengono chiamati i suoi dipendenti) a tempo pieno e oltre 83 milioni part time.
Nel 2004 Harry Wu, il dissidente cinese fondatore della Laogai Research Foundation, ha valutato risultati e conseguenze della politica del figlio unico e ne ha descritto il funzionamento in un libro, ora pubblicato anche in Italia, il cui titolo originale sintetizza efficacemente lo spirito che anima gli ideatori del piano e la missione alla quale si dedicano: impedire a qualsiasi costo nascite non programmate. Il titolo è Better ten graves than one extra birth, (Meglio dieci tombe che una nascita extra).
Wu descrive e documenta i metodi brutali usati per ottenere il rispetto dei piani demografici nazionali e regionali da parte di una popolazione che, quand’anche approvi in linea di principio le finalità del piano, accetta malvolentieri le interferenze governative nella sfera più intima e personale della propria esistenza, senza contare che, in mancanza di un sistema previdenziale, i figli rappresentano tuttora per la maggior parte dei cinesi una risorsa necessaria per la vecchiaia e i maschi si ritengono essenziali dato il sistema tradizionale di parentela unilineare che affida ad essi la continuità del nome e l’eredità dei beni di famiglia.
Il solo rifiuto degli obbligatori sistemi contraccettivi comporta multe ingenti e la sterilizzazione forzata. Una gravidanza fuori piano può costare la rovina di un’intera famiglia. Se individuata prima del parto, una madre incinta senza autorizzazione è costretta ad abortire, anche al nono mese. Poi viene inesorabilmente sterilizzata. Se riesce a fuggire, i suoi familiari finiscono in carcere in condizioni terribili finché non si “costituisce”. Se partorisce e il “reato” viene scoperto, oltre alla sterilizzazione forzata e a una sanzione pecuniaria deve subire la perdita del bambino che le viene sottratto e non di rado è poi lasciato morire. Inoltre è prevista, a discrezione delle autorità, la distruzione dell’abitazione dei colpevoli la confisca dei loro beni.
Secondo le stime di Pechino, la politica del figlio unico ha impedito la nascita di 400 milioni di persone. Quanto questo abbia giovato all’economia cinese è impossibile dirlo. Invece è possibile quantificare almeno in parte i costi dell’apparato repressivo cinese che sono enormi: con il bilancio di un solo anno della Commissione statale si potrebbero ad esempio costruire 26.000 scuole. Astronomici sono pure i danni economici causati ai milioni di persone pesantemente sanzionate per violazioni delle norme di pianificazione, alle vittime di estorsioni e ricatti da parte delle cellule e delle forze dell’ordine e ai genitori costretti a comprarne la complicità e il silenzio pur di avere un figlio.
Va considerata inoltre, nel valutare costi e benefici della politica del figlio unico, la più ovvia delle obiezioni al piano cinese: l’esperienza di secoli dimostra che il più economico ed efficace dei controlli demografici è lo sviluppo economico solido e ben amministrato che induce le famiglie alla scelta spontanea di ridurre il numero dei figli.
Ma i costi accertati delle scelte di Pechino vanno ben oltre. Innanzi tutto la salute di milioni di donne è stata ed è compromessa dagli “interventi contraccettivi” forzati ed eseguiti senza troppe precauzioni. L’invecchiamento della popolazione è un secondo risultato dalle gravi conseguenze economiche e sociali. Si stima che tra 20 anni il 23% dei cinesi avrà tra 60 e 65 anni e gli over 65 saranno il 16%: solo adesso qualcuno incomincia a domandarsi come sarà possibile provvedere a così tanti anziani e come rimediare al costante calo percentuale della forza lavoro. Già adesso la maggior parte dei coniugi figli unici devono provvedere a quattro genitori e a otto nonni per lo più privi di contributi previdenziali.
Un altro problema già sensibile è dato dal crescente divario tra le nascite di maschi e di femmine: 119 su 100. Succede che, se il primo figlio è una femmina, i genitori decidano di abortire la bambina indesiderata o di ucciderla subito dopo la nascita per avere il permesso di una seconda gravidanza che porti il desiderato maschio.
Effetti “collaterali” della pianificazione demografica cinese sono poi il frequente abbandono dei neonati e il traffico in crescita delle donne comprate o rapite nei paesi limitrofi per darle in spose agli uomini cinesi in esubero che ormai sono decine di milioni.
Per finire vi è il danno morale incalcolabile di una consuetudine all’illegalità e alla corruzione, l’abitudine alla delazione sollecitata dalle cellule a caccia di trasgressori e il clima di diffidenza che contamina i rapporti tra vicini di casa e parenti.
Eppure, come ricorda Harry Wu nel suo libro-denuncia, tutto questo non impedisce alle Nazioni Unite, soprattutto tramite l’Unfpa, il Fondo per la popolazione e lo sviluppo, di sostenere la politica demografica cinese pretendendo che le normative governative siano accettate dalla popolazione volontariamente e che nessuna violazione dei diritti umani venga commessa. Nel 1983 la Cina ha addirittura ricevuto il premio ONU per la popolazione per aver “dato il più evidente contributo alla consapevolezza dei problemi demografici”.
Harry Wu, Strage di innocenti, La politica del figlio unico in Cina, Guerini e Associati, Milano, 2009, pp.185
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