In Cina ci sono eccellenti avvocati per i diritti umani, ma hanno bisogno che il mondo si accorga di loro

Il parlamentare Chris Smith prova ad arruolare gli Stati Uniti nella difesa degli avvocati per i diritti umani.

Washington- il pomeriggio del 19 maggio quattro donne cinesi si sono sedute a un lungo tavolo di quercia nella sala udienze del Campidoglio e hanno chiesto al mondo di prestare attenzione. In Cina i loro mariti sono in carcere perché promuovono i diritti umani.

Nella foto un gruppo di donne che parlano per conto dei loro mariti, detenuti in Cina per aver sostenuto i diritti umani, il 18 maggio 2017, in una sala delle udienze a Capitol Hill.

Come ha detto il deputato Chris Smith, sono venute insieme per gettare luce sul trattamento brutale che ricevono i difensori dei diritti umani in Cina.

La luce ha bisogno di splendere. Questi uomini non sono conosciuti negli Stati Uniti e raccontare le loro storie, che avvengono in una terra lontana e straniera, non è facile. Tra gli altri problemi, i loro nomi, che per i madrelingua inglesi sono difficili da pronunciare e ricordare.

Tang Jingling, Xie Yang, e Jiang Tianyong sono avvocati per i diritti umani. Li Ming-Che è un membro di una ONG taiwanese che in Cina promuove i diritti umani.

Alcuni biglietti d’auguri recitano: “Meglio accendere una candela, che maledire l’oscurità”.

Questa frase ritrita ritorna ad avere senso profondo e inscalfibile nella figura di questi uomini, che sono essi stessi candele che brillano nell’oscurità della Cina contemporanea. Hanno deciso di rischiare la propria vita, la salute, lo stipendio, la professione, e la reputazione, mettendo anche le proprie famiglie a rischio, per rendere la Cina un posto migliore.

Ognuna delle loro storie è diversa e ammirevole, ma ci sono degli elementi che le accomunano. Il caso di Jiang Tianyong permette di riassumere le difficoltà affrontate anche dagli altri, e più in generale dai difensori dei diritti umani in Cina.

FEDE

Quando Jin Bianling, moglie di Jiang Tianyong, comincia a parlare, si sporge in avanti sulla sedia. Parla in cinese, concitatamente e con enfasi, quasi Jin speri di imprimere il significato delle sue parole nei deputati che stanno ascoltando la traduzione inglese.

“Il governo cinese proibisce ai cittadini di commentare qualunque evento che abbia a che fare con i diritti umani”, dichiara Jin. “Pertanto l’attenzione e il supporto internazionale sono fondamentali per le persone e i gruppi oppressi”.

A fine udienza, con un sorriso mesto, Jin dice che avrebbe voluto che il marito Jiang avesse intrapreso la carriera nel diritto commerciale, non nell’ambito dei diritti umani.

Lui le avrebbe risposto: “Se fossi un avvocato solo per far soldi, la mia coscienza non potrebbe sopravvivere. Sento troppe storie di persone private dei propri diritti. Non potrei dormire di notte, anche guadagnassi un sacco di soldi”.

Jiang è di fede cristiana, come molti altri avvocati cinesi per i diritti umani. Un credo in qualcosa che trascende questo mondo probabilmente è necessario per svolgere questo mestiere. Tutti i riflettori sono puntati crudelmente contro qualcuno che ha un’opinione indipendente sulla vita in Cina, o che corre il rischio di aiutare qualcun altro che lo fa.

Il Partito Comunista isola gli individui, ha demolito tutte quelle strutture che nelle società occidentali sono indipendenti dal governo, cosicché ciascun individuo è solo, controllato da uno stato onnipotente.

Nella Cina contemporanea l’unico imperativo morale unanimemente accettato non fa che incrementare questo isolamento: tutti devono provare a diventare ricchi. Tutti contro tutti, non ci sono limiti in quello che si può fare per guadagnare uno yuan in più.

La propaganda soffocante del regime dà il colpo finale alla capacità dell’individuo comune di discernere cosa è giusto da cosa è sbagliato. Il Partito è “magnifico, eccezionale e giusto”.

In una delle ultime interviste che Jiang ha rilasciato, prima di esser fatto sparire, egli dice: “Ci hanno insegnato ad amare la nostra patria sin da bambini, a essere interessati alla politica, e a provare un senso di responsabilità sociale. Ma era tutta una menzogna”.

DISPERAZIONE

Un cinese medio può pensare che Jiang sia stato un pazzo a decidere di diventare un avvocato per i diritti umani, che difende quelli presi di mira dal regime. Ma l’esempio di Jiang mostra che esiste un’alternativa alla disperazione e al nichilismo indotto dalle bugie e dalla repressione del Partito.

Tra coloro che Jiang ha rappresentato ci sono lavoratori migranti, Tibetani, praticanti del Falun Gong, persone che hanno contratto l’HIV da trasfusioni di sangue contaminate.

Il suo primo caso è stato nel 2005, quando assiste l’avvocato non vedente Chen Guangcheng nel presentare una causa collettiva contro l’applicazione brutale della politica del figlio unico da parte dei funzionari della provincia dello Shangdong. Chen è presente all’udienza in Campidoglio per mostrare solidarietà all’amico Jiang e agli altri avvocati.

Dietro alla facciata di popolo troppo spesso cinico, c’è brama di etica e di giustizia. Il movimento per la difesa dei diritti umani parte con pochi avvocati all’inizio degli anni 2000.

Ma la forza del loro esempio è di ispirazione per decine di nuovi, che presto diventano centinaia. Il 9 luglio 2015, in un’operazione di repressione a livello nazionale, 300 persone, tra avvocati e aiutanti, sono arrestate, mettendo quasi completamente a tacere il movimento.

 

REPRESSIONI

Gli avvocati cinesi difensori dei diritti sono sempre stati a rischio. Nell’agosto 2005, dopo aver querelato le autorità dello Shangdong, Chen Guangcheng è messo agli arresti domiciliari. Egli riesce a scappare e raggiunge prima Shanghai e poi Pechino.

Sul viso di Chen si dipinge un largo sorriso mentre ricorda i fatti: centinaia di agenti li stanno accerchiando, Jiang gli prende la mano e insieme, i due avvocati, attraversano di corsa una stazione della metro di Pechino.

Me li immagino Jiang e Chen, che nella loro corsa per la libertà, in mezzo alla paura, assaporano un momento di gioia. Ogni passo svelto, un atto di sfida. Chen chiama Jiang “compagno in guerra”.

Come da aspettarsi, le centinaia di poliziotti alla fine li catturano, e Chen torna agli arresti domiciliari, che si protraggono per sette anni.

Gli agenti di solito catturano quelli che inseguono. I poliziotti cinesi possiedono un aggeggio, che sta in una mano, che permette di leggere la carta d’identità di qualcuno a distanza di diversi metri. Possono scaricare tutti i dati conosciuti sulla persona, senza che questa ne sia al corrente.

Centinaia di migliaia di telecamere sparse nelle varie città cinesi sono collegate con computer su cui girano software di riconoscimento facciale. I telefoni e le email sono sotto controllo. Nei paesi, nei palazzi, nelle aree residenziali, qualcuno è pagato per spiare di nascosto chi va e chi viene.

TORTURA

Chen rivela che Jiang ha dimestichezza con l’essere torturato.

Una volta Jiang è stato fatto sedere su uno sgabello. Una guardia carceraria l’ha colpito, così forte da farlo cadere. Una volta fatto risistemare sullo sgabello, la guardia ha continuato a colpirlo.

A marzo 2014, quando Jiang stava investigando sulla prigionia di alcuni praticanti del Falun Gong in un centro di detenzione extra legale (ndt: blackjail) a Jiansanjiang, nella provincia di Heilongjiang, è stato picchiato fino a rompergli otto costole.

All’udienza, la moglie Jin ricorda il caso dell’avvocato Li Heping, rilasciato di recente. Li e altri avvocati sono stati drogati a forza. Con la scusa che soffrisse di ipertensione, disturbo che in realtà non aveva, è stato costretto a prendere dei medicinali che gli hanno causato dolori in tutto il corpo e vista annebbiata.

L’attenzione internazionale può aiutare a migliorare la brutalità praticata nei carceri cinesi, ma guai a chi sostiene di avere il sostegno internazionale prima del dovuto.

Nel 2009, Jiang ha creduto di aver preso un appuntamento per sé, e per alcuni colleghi, con Barack Obama, in visita a Pechino. Tuttavia, Obama aveva inviato un messaggio per dire che non aveva tempo. Poco dopo, centinaia di agenti si sono presentate al suo posto, arrestando Jiang.

Nel settembre 2007, l’avvocato Gao Zhisheng scrive una lettera aperta al Congresso degli Stati Uniti per denunciare gli abusi dei diritti umani in Cina, e in particolare, della persecuzione del Falun Gong. Poco dopo la pubblicazione della lettera online, è rapito e subisce 50 giorni di torture, tra cui fumo di sigaretta soffiato negli occhi, ore di elettroshock in tutto il corpo, e stuzzicadenti inseriti nei genitali.

Ciononostante, il regime non sembra voglia fare fuori gli avvocati che tortura. Vuole, invece, che facciano da esempio a loro favore.

Secondo la Commissione sulla Libertà Religiosa Internazionale statunitense, il video delle torture a Gao è stato usato per dissuadere gli altri avvocati.

Gao è stato rilasciato ad agosto 2014. Dopo essere stato tenuto per tre anni in isolamento in una cella buia, Gao ha perso la capacità di parlare (oggi Gao si è ripreso e ha mandato il manoscritto di due libri in Occidente).

ELENCHI

Il deputato Smith ha ricordato come il Presidente Ronald Reagan usasse in maniera efficace elenchi dei dissidenti sovietici. Nel caso in cui si incontrasse con qualche ufficiale sovietico, prontamente tirava fuori la lista di nomi. Il loro trattamento brutale si alleggeriva, e a volte qualcuno era rilasciato.

Smith e il senatore Marco Rubio hanno dato il via a una campagna #FreeChinasHeroes, con una lista di 25 nomi di prigionieri politici e di coscienza che loro sperano sia usata in modo simile dal Presidente Donald Trump.

Smith vorrebbe organizzare un incontro tra le quattro mogli presenti all’udienza e il Presidente Trump, cosicché egli possa sentire di persona le loro storie, guardandole negli occhi.

Smith ha introdotto nel 2016 il Global Magnitsky Act, che è diventata legge. L’Act autorizza il Presidente a vietare l’ingresso negli Stati Uniti a persone colpevoli di odiose violazioni di diritti umani, e di congelare le loro proprietà all’interno del paese.

Smith ha creato un elenco di 22 nomi di aguzzini, forniti dall’avvocato detenuto Xie Yang. Vorrebbe far recapitare l’elenco al Presidente e ad altri importanti ufficiali governativi, e vorrebbe fare pressione perché le Nazioni Unite indaghino sugli abusi subiti dagli avvocati per i diritti in Cina.

ARRESTO

Jiang è il leader di Avvocati Cinesi per i Diritti Umani e ha mostrato in ogni modo il proprio supporto a chi è stato arrestato il 9 luglio 2015.

Il 21 novembre è stato arrestato e a oggi non si conosce la sua sorte. È stato preso in custodia con accuse riguardanti segreti di stato, la solita ragione che il governo tira in ballo per giustificare l’arresto di dissidenti. Nessuno ci crede davvero.

Ha incontrato la moglie di Xie Yang a Changsha, per studiare la difesa del collega, e questa può essere la ragione del suo arresto.

Funzionari delle Nazioni Unite hanno chiesto un’indagine, in quanto preoccupati che l’arresto di Jiang possa essere collegato alla sua collaborazione in agosto con un inviato speciale delle Nazioni Uniti.

Il suo compleanno è stato il 19 maggio. Ha compiuto 46 anni.

La moglie Jin, per aiutare il marito e gli atri avvocati, ha chiesto che la stampa non pubblichi solamente notizie sui cinesi ricchi che vengono in Occidente. Chiede che gli americani capiscano la realtà cinese, e in particolar modo che i mezzi di informazione denuncino le torture e la somministrazione forzata di droga subite dai prigionieri di coscienza.

A Jiang era stato accordato l’asilo. Chen pensa che “sarebbe potuto venire nella terra della libertà, ma che egli credeva fermamente che questo oscuro potere in Cina doveva essere contrastato”.

Nel 2009, Jiang è apparso di fronte allo stesso comitato davanti al quale si è presentata sua moglie. Il Segretario di Stato Hillary Clinton aveva da poco tenuto un discorso, in cui sosteneva che le preoccupazioni per i diritti umani non sarebbero state affrontate durante le negoziazioni con la Cina su temi quali il cambiamento climatico.

Jiang aveva espresso il proprio disappunto, e aveva citato Martin Luther King: “Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”.

The Epoch Times,22 maggio 2017

Traduzione Andrea Sinnove, LRF Italia Onlus

English article,The Epoch Times:

 

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