Cina, i diritti negati ai lavoratori delle calzature
Il Paese asiatico è il primo produttore mondiale di scarpe con 15,7 miliardi di paia nel 2014.Lavoro straordinario, irruzioni della polizia negli stabilimenti durante gli scioperi, formazione assente e livelli retributivi al di sotto della soglia “dignitosa”. È quel che emerge dal report “Tricky footwork: la lotta per i diritti nell’industria cinese delle calzature”, curato dalla campagna “Change your shoes”, che ha raccolto le testimonianze degli operai cinesi di terzisti di marchi celebri.
Non è soltanto una denuncia circostanziata dei diritti dei lavoratori nell’industria cinese delle calzature e delle condizioni di lavoro più in generale, ma anche una fotografia della dinamica produttiva in costante mutamento. “I principali centri produttivi erano tradizionalmente localizzati nelle province costiere del Guangdong, Fujian e Zhejiang -si legge nel report- ma l’aumento dei costi di produzione in queste aree ha spinto le aziende a decentrare la produzione nella Cina interna, in particolare nella provincia del Sichuan che ha visto una rapida crescita delle attività manifatturiere. Il Guangdong resta comunque l’area industriale per eccellenza, anche per il settore calzaturiero. Gli stabilimenti si concentrano nel delta del fiume delle Perle. I centri produttivi più importanti sono situati a Heshan, Huidong e Dongguan”.
“Il settore delle calzature è molto dinamico e la Cina gioca un ruolo fondamentale all’interno della rete di fornitura globale che assegna a diversi Paesi funzioni produttive diverse- ha affermato Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti-. Purtroppo questo porta ad una competizione senza regole che sacrifica i diritti dei lavoratori e ostacola processi di emancipazione nelle fabbriche”.
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