CINA-La storia dietro una lettera dall’inferno
Li Zhen,Epoch Times,16.01.2015
Poco prima di Natale 2012, notiziari di tutto pianeta hanno parlato di una lettera contrabbandata in un kit di Halloween venduto in uno dei negozi della catena statunitense Kmart.
La lettera, scritta in un inglese incerto mescolato con frasi in caratteri cinesi, racconta del maltrattamento dei prigionieri nel campo di lavoro Masanjia, in Cina, e chiede aiuto. Julie Keith, di Portland, nell’Oregon, si è imbattuta nella lettera e l’ha pubblicata sulla sua pagina Facebook. Il fatto ha subito innescato una discussione sui mass media e tra le organizzazioni dei diritti umani riguardo al sistema dei campi di lavoro forzato in Cina.
Nella foto: nel suo nuovo libro ‘The Roar of Masanjia’ Du Bin racconta i crimini commessi al campo di lavoro di Masanjia. (Poon Zaishu/Epoch Times
Gli esperti sono stati d’accordo: la lettera è molto probabilmente autentica, e di certo Masanjia è famigerato per i metodi di torture impiegati; ma rimane un mistero su chi abbia scritto quella commovente supplica.
Ora, l’autore cinese Du Bin nel suo ultimo libro, ‘Roar of Masanjia‘, racconta la storia di chi ha scritto la lettera.
Tre giorni dopo il ritrovamento del manoscritto da parte di Keith, in Oregon, l’autore della lettera ha contattato Du, il quale è rimasto sorpreso perchè ha scoperto che l’autore della lettera è un suo amico.
Nel 2008 l’autore della lettera è stato imprigionato a Masanjia, dove è stato trattenuto per 29 mesi, inclusi 10 mesi durante i quali è stato duramente torturato.
Dopo 23 mesi di preparazione, durante i quali Du stesso è stato illegalmente imprigionato per 37 giorni ed è rimasto agli arresti domiciliari per un anno, il libro ‘Roar’ è stato pubblicato in cinese a dicembre, a Hong Kong.
‘Roar’ è l’undicesimo libro di Du, ed è la terza volta che l’autore tratta del campo di lavoro di Masanjia. A luglio del 2014 ha pubblicato a Hong Kong ‘Vagina Coma’, un libro sulla tortura sessuale delle donne trattenute a Masanjia, mentre ad aprile del 2013 ha distribuito a Hong Kong e nel Taiwan un film documentario, ‘Above the Ghosts’ Heads’, anche questo sull’abuso delle donne a Masanjia.
Nel libro ‘Roar’, Du cita l’autore della lettera, che dice di Masanjia: «qualunque governo sulla faccia della Terra non dovrebbe tollerare l’esistenza continuata di un simile male in questo mondo. Se è qualcosa che non vi preoccupa minimamente, significa che siete parte del malvagio Partito Comunista cinese».
Dal momento che il tema del libro riguarda un praticante del Falun Gong che vive a Pechino, Du ha scelto di riferirsi in tutto il libro all’autore della lettera come ‘lui’. Tutti i praticanti del Falun Gong (anche nota come la Falun Dafa) in Cina sono passibili di arresti arbitrari, e questo specifico praticante - se identificato - verrebbe sicuramente sottoposto a violente rappresaglie per aver scritto la lettera.
foto: La copertina del libro ‘Roar of Masanjia’.
Dopo la pubblicazione di ‘Roar’ Epoch Times ha avuto l’opportunità di intervistare Du. Esattamente come nel libro di Du, l’autore della lettera è indicato con ‘lui’, o ‘egli’.
Epoch Times: Perchè hai scritto il libro ‘The Roar of Masanjia’?
Du: La storia doveva essere scritta. Quello che ho sempre cercato di dire è che gli esseri umani non sono animali, e partendo da questo è importante dimostrare come una persona è in grado di sopravvivere in una situazione difficile, che è il tema di questo libro.
Gli ho detto di aver scritto molti libri che mostravano i crimini del Governo. Forse si è fidato di me per quello che ho fatto e per questo mi ha raccontato la sua storia. L’intero processo è stato una sorpresa.
Epoch Times: Ci puoi parlare di come lui ti ha raggiunto?
Du: Prima che mi raggiungesse, stavo cercando la persona che aveva scritto la lettera. Ero davvero curioso, come era finita negli Usa?
La persona che ha scritto la lettera è infatti un mio amico. Tre giorni dopo che il quotidiano The Oregonian ha pubblicato la lettera, è venuto a cercarmi, chiedendomi se avevo visto quella notizia.
Mi ha domandato: «sai chi ha scritto la lettera?» e io gli ho risposto «naturalmente voglio saperlo. Sto cercando di trovare questa persona». E lui mi ha rivelato: «sono quella persona».
Sono rimasto sconvolto, completamente sconvolto. Anche se lo conoscevo da un anno o due, mi ero seduto a parlare con lui solo alcune volte. Sapevo che era stato in un campo di lavoro, ma non me ne aveva mai parlato nei dettagli prima.
«Qualunque governo sulla faccia della Terra non dovrebbe tollerare l’esistenza continuata di un male simile in questo mondo». Autore della lettera che rivela gli abusi nel campo di lavoro di Masanjia
Inizialmente ero molto sconvolto. Inoltre ero sorpreso. Siamo tutti giornalisti. Era come un dono divino, qualcosa di davvero importante.
Gli ho domandato: «Puoi provare di averla scritta tu?» E lui mi ha chiesto di prendergli carta e penna: «Sembra la mia scrittura?». Era davvero la sua calligrafia. Inoltre conosco alcune persone di Masanjia, e tutte sapevano chi era. Era lui l’autore della lettera.
Ad aprile del 2013, il quotidiano Lens in Cina ha riferito del campo di lavoro femminile a Masanjia, e milioni di persone hanno letto l’articolo. È qualcosa che avrebbe dovuto essere sconvolgente, ma solo poche persone sono consapevoli del fatto che è rivolto contro un gruppo speciale di persone, ovvero i praticanti del Falun Gong.
Epoch Times: Perché ‘un gruppo speciale di persone’?
Du: In Cina non è possibile pubblicare un quotidiano che spieghi come i praticanti del Falun Gong siano i bersagli di queste torture. L’azienda che pubblica il quotidiano si troverebbe con vari problemi, i giornalisti se ne andrebbero e la licenza dell’azienda verrebbe revocata.
Quindi i quotidiani cinesi hanno smesso di avere storie sugli attuali affari politici, trattando invece argomenti meno delicati. L’ho detto all’autore della notizia, spiegandogli che aveva già completato la sua missione. Adesso è il mio turno. Continuerò lo stesso cammino che ha intrapreso.
Epoch Times: Puoi dire che è qualcuno che è stato perseguitato?
Du: Lui mi ha riferito che nel campo di lavoro maschile di Masanjia gli avevano messo un bavaglio da dentista e non glielo avevano tolto. Come risultato soffriva di lesioni dei nervi. Il massimo tempo durante il quale aveva indossato il bavaglio era stato di un giorno. Ero sconvolto. Gli ho chiesto: «Come ti sei sentito quando te l’hanno tolto?». Mi ha detto che in seguito non riusciva più a chiudere la bocca; non riusciva a sentire nulla, la sua bocca era insensibile.
Tutte le torture elencate nel libro sono state usate contro di lui, come ad esempio l’estremo allungamento del corpo, l’essere ammanettato, il letto della morte, l’alimentazione forzata e la tortura psicologica, che è la peggiore di tutte.
Mi ha parlato di un termine chiamato ‘rimozione del nervo’, che cancella tutti i tuoi sensi. Dopo ti sentiresti come un robot, come una persona fatta i gomma, senza sentimenti; faresti tutto quello che ti si chiede senza pensare.
Una volta sua moglie gli mandò una lettera chiedendo il divorzio perché non riusciva a sopportare la pressione della polizia che la cercava, che cercava la sua famiglia, sin da quando lui aveva iniziato a praticare il Falun Gong. Sua moglie aveva anche sofferto moltissimo quando era stato rinchiuso in un centro di lavaggio del cervello. Lui mi ha detto che è stato davvero doloroso quando all’inizio aveva ricevuto la sua lettera.
«Quello che ho sempre cercato di dire è che gli esseri umani non sono animali». Du Bin
Mi ha riferito che all’interno del campo di lavoro, un cucchiaio di plastica e la lettera erano gli unici oggetti personali in suo possesso. Ha detto di aver messo un nastro trasparente sul retro della lettera, che prendeva per leggere ogni volta che la notte aveva tempo.
Un giorno la polizia trovò la lettera mentre cercava di torturarlo, rifiutando di ridargliela. In seguito chiese alla polizia della lettera, ma il poliziotto gli disse che non l’avrebbe potuta trovare più. La polizia gli disse che avrebbe confiscato qualsiasi cosa che avesse incoraggiato la resistenza [ai loro tentativi di fargli il lavaggio del cervello], qualunque cosa con il potere di opporsi alla loro persecuzione nei suoi confronti.
Per di più, una cosa abbastanza unica, mi ha detto che il tempo non esisteva a Masanjia; le persone non erano autorizzate a tenere un orologio. Ad esempio la polizia avrebbe chiesto ai prigionieri che lavoravano per loro di portare le persone a lavorare. Non c’era modo di sapere esattamente che ora era. Se la polizia non ti autorizzava a smettere di lavorare, dovevi semplicemente continuare a farlo.
Epoch Times: Come è riuscito a scrivere una lettera del genere in una situazione tanto complicata?
Du: Gliel’ho chiesto. Gli ho chiesto quante lettere avesse scritto. Mi ha risposto che dietro di lui c’erano altri due praticanti che scrivevano le lettere. Lui scrisse una copia delle lettere e la diede in segreto a un altro praticante. In seguito questo praticante ne ha fatto diverse copie di quella originale.
La cella era illuminata 24 ore al giorno. Mi ha spiegato come scriveva le lettere. Dormiva nella parte superiore del letto, davanti al muro. Mise di nascosto un pezzo di carta nel cuscino e iniziò a scrivere. Doveva ascoltare attentamente, perché c’era uno ‘Zuo Ban’, qualcuno seduto nella cella che agiva come rappresentante della polizia.
Tra l’1 e le 3 del mattino, mentre Zuo Ban iniziava ad essere molto assonnato, mi ha rivelato che scrisse circa una dozzina di lettere. Altri due praticanti scrissero poche lettere. Erano un totale di più di 20 lettere.
Mi ha detto che poteva capire l’inglese. Sapeva che alcuni dei prodotti che fabbricavano, quali le zucche sorridenti, venivano sicuramente utilizzate per Halloween nei Paesi occidentali. Pensava che, se le lettere fossero circolate tra le persone, avrebbero fatto pressioni sul Pcc dal momento che quell’anno la Cina ospitava i Giochi Olimpici. Anche le condizioni nel campo di lavoro sarebbero certamente migliorate. Quindi mise di nascosto le lettere nelle scatole dei prodotti di Halloween.
Pochi giorni dopo l’apertura dei Giochi Olimpici, venne trovata una lettera nascosta nelle assi del letto di un praticante mentre si facevano i controlli regolari [delle celle]. Il capo della polizia rimase oltraggiato e cominciò a torturare con violenza i praticanti, che rivelarono che era stato lui a scrivere la lettera. Le autorità temevano di fare uno scandalo con l’incidente. Quindi il praticante fu fortunato e [la scampò].
Epoch Times: Che pensò in quel momento?
Du: Pensava di usare le lettere per raccontare agli altri quello che avveniva all’interno dei campi di lavoro, come venivano realizzati quei prodotti di Halloween e in che modo venivano trattati i praticanti della Falun Dafa.
Ci sono voluti 23 mesi dal momento in cui ha accettato la mia intervista fino alla pubblicazione del libro. Durante quel periodo continuavo a pensare: come dovrei scrivere la storia? Ho deciso che avrei scritto la storia prima che lui venisse imprigionato a Masanjia e anche la storia di quando è uscito da Masanjia. La storia di quello che è accaduto mentre era a Masanjia si sarebbe basato sulla sua testimonianza orale. Ma l’intero processo non era facile.
Quella che voglio raccontare ai lettori è la storia di come una persona sopravvive in una situazione estremamente complicata. Mi ha detto che lui era di solito una persona spaventata dalla morte. Mi ha spiegato che era in grado di continuare a vivere grazie alla pratica del Falun Gong.
Gli ho chiesto: «ci sono alcune parole d’ispirazione dalla tua pratica che ti hanno motivato a continuare a vivere?» Mi ha risposto: «se riesci a lasciar andare la vita e la morte, sei un Dio; se non puoi lasciar andare la vita e la morte, sei un essere umano».
«Dopo ti sentiresti come un robot, come una persona fatta i gomma, senza sentimenti; faresti tutto quello che ti si chiede senza pensare». Du Bin
Mi ha spiegato che questa frase lo ha enormemente ispirato. Ha detto che non era una cosa di poco conto lasciar andare la vita e la morte. Per questo è stato perseguitato per dieci mesi nei 29 mesi durante i quali è rimasto prigioniero del campo di lavoro. Mi ha rivelato di essere stata la persona che ha sofferto la più grave persecuzione a Masanjia. Nel libro sono spiegati molti dettagli riguardo al male all’interno del campo di lavoro cinese. Credo che i lettori rimarranno scioccati leggendolo.
Epoch Times: Qual’è stata l’esperienza più indimenticabile nel campo di lavoro?
Du: Lui mi ha detto che era l’alimentazione forzata, o l’alimentazione forzata speciale. Come veniva fatta? Dal momento che le persone nel campo di lavoro non potevano portarlo alla sottomissione con l’alimentazione forzata, allora due infermiere donna, esperte dell’ospedale di Masanjia, vennero chiamate al campo di lavoro. Alla polizia fu chiesto di vedere come le infermiere eseguivano l’alimentazione forzata.
Le due infermiere portarono una scodella di porridge di farina di mais e gli aprirono la bocca con un bavaglio. Il porridge venne fatto scendere nella bocca con un cucchiaio. E per quanto riguarda l’alimentazione forzata speciale? Rantoli in cerca di aria mentre ti si schiaccia il naso. Mentre annaspi in cerca di aria, deglutisci il cibo.
Ha detto che lui semplicemente non rantolava in cerca di aria, specialmente perché era stato alimentato con la forza così tante volte. Le infermiere pensavano fosse morto. Mi ha detto che alla fine non riusciva a sopportare più e iniziò ad avere i conati; il porridge cadde sui vestiti dei dottori, delle infermiere e della polizia. Mi ha detto che gli è stato tolto il bavaglio per paura che potesse morire. Ma venne rimesso non appena rifiutò di mangiare da solo. Dopo due o tre ore alla fine smisero, perché continuava a vomitare.
Ha condiviso con me l’esperienza di quando, un giorno, faceva lo sciopero della fame, un esempio che non viene incluso nel libro. Mi ha chiesto: «Sai quant’è doloroso fare lo sciopero della fame?». Ha detto che, dopo che lo sciopero aveva raggiunto un certo livello, si sentiva come se avesse potuto mangiare qualunque cosa, inclusi mattoni e dentifricio.
Epoch Times: Perché continui a scrivere del Falun Gong?
Du: So che argomenti quali il massacro di Piazza Tienanmen e il Falun Gong sono particolarmente delicati in Cina, qualcosa che neanche i mass media stranieri si azzardano a scrivere. Per quanto riguarda me, cittadino cinese, perché non ho paura di scrivere su questi temi? Per due ragioni: per prima cosa credo che, in quanto essere umano, vorrei sapere come una persona riesca a sopravvivere in situazioni complicate e cosa pensa in quei momenti. Come seconda cosa, non siamo né animali né bestie, perciò non tollero alcun trattamento inumano nei riguardi di altri esseri umani.
Ad esempio una volta sono stato trattenuto in un carcere e sono stato interrogato sul Falun Gong e su come venivano trattate le donne nel campo di lavoro femminile di Masanjia. Non ero affatto spaventato. Ogni volta che mi ritorna in mente, mi sento oltraggiato. Ricordo di avergli detto: «Siamo esseri umani e, in quanto esseri umani, non dovrebbero essere trattati come animali. Quindi scrivo su questi temi». Poi mi sono detto: «Se vuoi buttarmi in prigione fallo e basta, smetti di perdere tempo a parlare con me». Alla fine hanno smesso di parlare.
Credo che il campo di lavoro femminile di Masanjia sia un posto usato per torturare i praticanti del Falun Gong. E per queste persone, quel posto è fondamentalmente come l’inferno. Ci sono alcune informazioni che circolano su internet secondo cui è compito del Comitato politico e di affari legislativi trasformare i praticanti del Falun Gong. Ciò che è avvenuto lì, la persecuzione, è il risultato del potere e dell’autorizzazione garantiti dal regime cinese. Ho scritto un libro al riguardo. Non sto raccontando frottole. Nessuno sta perseguitando questi funzionari di polizia responsabili; gli è stato chiesto di fare quello che hanno fatto proprio dal regime cinese.
Nell’Unione Sovietica c’erano i gulag. In Cina, c’è Masanjia.
Epoch Times: La persecuzione è ancora in corso?
Du: Il campo di lavoro dove lui ha resistito alla persecuzione scrivendo lettere è stato trasformato in un campo di prigionia. Il campo di lavoro femminile di Masanjia è diventato un centro di riabilitazione dalle droghe. Di questo sono certo.
Sulla base di questi, come può non esserci alcuna persecuzione? Sta ancora avvenendo. Ma la persecuzione è diventata meno manifesta. Le autorità cinesi sono rimaste scioccate quando i mass media cinesi locali hanno riferito di Masanjia. In base a quanto ho appreso, Masanjia è un luogo tipico dove vengono perseguitati i praticanti del Falun Gong.
Epoch Times: Puoi parlarci delle tue impressioni sui praticanti del Falun Gong?
Du: Sono entrato in contatto con quelli che sono stati duramente perseguitati. Quando raccontano le loro storie, rimangono molto pacifici e calmi, come se stessero raccontando le storie di qualcun altro. Sono estremamente impressionato da quest’atteggiamento. Essere torturati e umiliati in un ambiente così orribile e poi condividere la propria storia in maniera così pacifica, sono davvero impressionato.
Epoch Times: I praticanti del Falun Gong seguono i principi di verità, compassione e tolleranza. Ti sei reso conto di questi principi mentre interagivi con loro?
Du: Sì, li ho notati, senza dubbio. Sono entrato in contatto con circa 20 praticanti del Falun Gong; mi hanno dato l’impressione di persone oneste, gentili, pazienti e tolleranti. Dalle loro esperienze, dalle storie e dalla persona che ha scritto la lettera, ho potuto percepire la verità, la compassione e la tolleranza. Dai dettagli delle loro storie sono riuscito davvero a percepirla.
Se qualcuno non crede nella verità, nella compassione e nella tolleranza, dovrebbe iniziare a praticare il Falun Gong. Allora saprebbe.
Epoch Times: Ci puoi parlare della tua esperienza personale di prigionia?
Du: L’8 luglio del 2013, quando sono stato rilasciato dietro cauzione dal centro di detenzione nel distretto di Fengtai, a Pechino, sentivo di aver capito molte cose. Per prima cosa, avevo visto coi miei stessi occhi come era trovarsi dentro [uno di quei posti nel quale vengono trattenute le persone]. Inoltre, dopo esserne uscito, avvertivo un senso di sicurezza ad ogni mio passo, qualcosa che prima non avevo mai provato. Sapevo quello che stavo facendo.
Dopo 33 giorni ero in Procura e un capitano delle squadre di sicurezza interna a Fengtai venne a trovarmi con un’altra guardia di sicurezza interna. Il capitano mi chiese: «Du, sai perché ti trovi qui?», e io risposi: «Perché?». Allora il capitano disse: «qualcuno dalle autorità superiori vuole sapere per quale motivo una persona con così tanti anni buoni davanti a sé è diventato qualcuno che espone precisamente i crimini del regime cinese».
Ho riso quando ho ascoltato la domanda. I crimini non erano una cicatrice per il regime cinese. Erano piuttosto una cicatrice per la popolazione cinese. Il capitano disse anche che non poteva dirmi qual’era il livello del funzionario di alto rango.
Perché ho incluso la storia della mia prigionia sulla copertina posteriore del libro? Ho un solo obiettivo: dopo essere stato rilasciato su cauzione, non ho ricevuto alcun documento legale. Quindi tra me e me ho pensato che avrei scritto tutto perché potevo. Avrei usato le parole per esprimere I miei pensieri, la mia rabbia.
La popolazione cinese ha sofferto così tanto; una volta un giornalista del New York Times disse al mio amico: «guarda i libri che ha scritto Du. Ci sono delle storie talmente orribili. E tuttavia Du sorride ogni giorno. Deve avere un buon atteggiamento per vivere la sua vita». Quando ho ascoltato questo sono rimasto abbastanza triste.
È impossibile non avvertire la sofferenza di tutti quei praticanti, il dolore di tutti i praticanti del Falun Gong e quello della popolazione cinese sin dall’istituzione del Partito Comunista cinese nel 1921.
Penso di essere stato ferito altrettanto gravemente. Anche se non sono afflitto da queste sofferenze, posso percepire il loro dolore. Se non scrivessi, che altro potrei fare? Alcune volte vorrei arrendermi, smettere di fare un lavoro tanto doloroso. Ma un pensiero del genere non indugia per molto tempo.
Si dovrebbe fare quello che bisogna fare. Penso anche che tutto ciò può avere qualcosa a che fare col mio carattere: sono nato allo scopo di soffrire, ugualmente come devo parlare apertamente del dolore.
Fonte,Epoch Times, http://www.epochtimes.it/news/la-storia-dietro-una-lettera-dall-inferno—127854
Articolo in inglese: The Story Behind a Letter From Hell
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