Cina, l’avanzata inarrestabile delle imprese di Pechino.Forchielli: «Ue senza difese, Pechino fa ciò che vuole»

Da Ferretti a Pirelli: quintuplicati gli investimenti in Italia. In sette mesi 5,7 mld. Quasi 30 in tutta Europa.

Trent’anni di globalizzazione e crescita dei Paesi emergenti hanno cambiato il mondo, ed è sufficiente dare uno sguardo alla Cina per rendersene conto: un Paese che pochi decenni or sono era attanagliato dalla povertà più nera oggi bussa alle porte dell’Europa per comprare aziende a suon di miliardi.

L’ultima notizia su questo fronte è arrivata il 20 marzo: il 26,2% di Pirelli - la quota detenuta da Camfin - sarà ceduto alla China National Chemical Corporation (ChemChina), azienda di Stato specializzata in prodotti chimici. E dopo l’estate 2015, ottenuto l’ok della Consob, un gruppo guidato da ChemChina in collaborazione con Marco Tronchetti Provera, UniCredit, Intesa SanPaolo e la russa Rosneft acquisterà l’intero pacchetto, mettendosi al timone dell’icona del manifatturiero italiano.

5,7 MLD DI INVESTIMENTI IN SETTE MESI. L’accordo è solo dell’ultimo di una lunga serie. Ferretti, la più grande azienda produttrice di yacht di lusso al mondo, venne comprata nel 2012 da Weichai Group - un’altra impresa di Stato - che ottenne il 75% per 178 milioni di euro. Aziende cinesi hanno investito anche in Cdp Reti, Sergio Tacchini e altri marchi.
Tutto questo ha finito per accrescere il flusso di denaro che dal Dragone giunge nel nostro Paese. Secondo quanto detto dall’ambasciatore cinese a Roma alChina Daily, gli investimenti della Repubblica Popolare sono arrivati a 5,7 miliardi di euro nei primi sette mesi del 2014, cresciuti di cinque volte dall’inizio dell’anno.
Le due economie, quella italiana e quella cinese, sembrano per molti aspetti complementari. Da un lato ci sono nomi storici che hanno una presenza radicata sul mercato e notevoli conoscenze tecniche, ma sono in crisi per la mancanza di fondi. Dall’altro si trovano imprese giovani, dinamiche e soprattutto ricche, pronte a investire.

BERTA: «È CAPITALISMO DI STATO». Eppure, a sentire il professor Giuseppe Berta, esperto di storia contemporanea e industriale presso l’Università Bocconi, non è un matrimonio perfetto. Se le attenzioni della Cina per il nostro Paese dimostrano che l’Italia ha ancora dei settori industriali interessanti, per il docente è anche vero che tali investimenti creano timori, perché «si traducono spesso in cessioni che tendono a spostare il controllo delle aziende fuori dai confini nazionali».
Il fatto poi che molti investitori siano di proprietà del governo - e cioè del Partito Comunista Cinese - induce a ulteriori preoccupazioni. «È un capitalismo di Stato, un sistema politico autocratico dove non ci sono pesi e contrappesi e questo ha la sua importanza».

Investimenti aumentati di 20 miliardi. Forchielli: «L’Ue non ha difese»

Wang Jianlin, presidente del gruppo cinese Wanda

Secondo un rapporto della Deutsche Bank la presenza cinese si è fatta più massiccia un po’ in tutta Europa a partire dal 2011: «Investitori cinesi sono arrivati in misura crescente facendo crescere l’ammontare degli investimenti diretti di oltre quattro volte nel giro di due anni».
Nel 2010, gli investimenti della Cina nell’Unione Europea erano solo di 6,1 miliardi di euro, meno di quelli che il Dragone aveva in Nigeria e Islanda. Poi la crisi ha cambiato le carte in tavola e la cifra è aumentata fino a 26,8 miliardi verso la fine del 2012.
Tanto per fare qualche esempio, Dongfeng Motor Group è oggi uno dei principali azionisti di Peugeot, mentre la China Investment Corporation detiene il 10% della Heathrow Airport Holdings, il gruppo che gestisce il principale aeroporto di Londra.

WANDA COMPRA I DIRITTI DELLA SERIE A. La voglia di espandersi delle aziende cinesi non ha risparmiato nemmeno il settore dello sport: a gennaio di quest’anno Wanda Group, una delle maggiori compagnie di intrattenimento del mondo, ha comprato Infront Sports & Media Ag, l’impresa che gestisce i diritti televisivi della Serie A. Un affare da 1 miliardo di euro. Pochi giorni prima il presidente di Wanda, Wang Jianlin, si era accaparrato il 20% dell’Atletico Madrid per 45 milioni.
Secondo Alberto Forchielli, managing partner presso Mandarin Capital Partners Md, l’ondata di capitali cinesi che sta arrivando nel Vecchio Continente è da imputare anche alle scarse difese dei Paesi europei. «I cinesi hanno i soldi, vogliono migliorare la qualità dei loro settori industriali e hanno tre mercati nei quali comprare: l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone», spiega aLettera43.it. «In Giappone non scendono nemmeno dal traghetto e negli Stati Uniti vengono bloccati dalle autorità, mentre in Europa possono fare quello che vogliono. Mancano le protezioni, l’Europa è allo sbando. Da noi non devono nemmeno fare una domanda per comprare, è un rapporto asimmetrico».

ANCHE L’AFRICA NEL MIRINO DEL DRAGONE. Il Vecchio Continente non è l’unico a essere finito nel mirino di grandi compagnie asiatiche. Una delle mete preferite dagli investitori cinesi è da tempo l’Africa, dove Pechino ha trovato materie prime a buon prezzo e un futuro mercato per le proprie esportazioni. Secondo Xinhua, l’agenzia di stampa cinese, gli investimenti diretti cinesi nel Continente nero hanno raggiunto 2,52 miliardi di dollari nel 2012, aumentando di oltre il 20% all’anno dal 2009.
Gran parte di questo denaro è confluito nel settore delle infrastrutture, delle quali l’Africa ha peraltro molto bisogno. Fra i progetti finanziati dal Dragone c’è una ferrovia che attraversa l’Angola: costruita dalla China Railway Construction Corporation, si snoda per 1.344 chilometri ed è stata resa possibile da un prestito di 500 milioni di dollari a interessi zero.

Il caso della Russia: Mosca è costretta a rivolgersi a Pechino

(© Ansa) Vladimir Putin e Xi Jinping, presidenti di Russia e Cina.

Una situazione simile è quella dell’America Latina. Secondo uno studio delle Nazioni Unite, «anche se le compagnie cinesi erano relativamente sconosciute fino a pochi anni fa, dal 2010 i loro investimenti diretti si sono attestati intorno ai 10 miliardi di dollari all’anno». Le compagnie cinesi, scrive l’Onu, «sono diventate molto significative in molte industrie e Paesi della regione, soprattutto nel settore petrolifero e minerario».
Rispetto al resto del mondo, la Russia costituisce un caso a parte. Anche grazie ai provvedimenti punitivi presi da Stati Uniti ed Europa in seguito al conflitto in Ucraina, Mosca si è vista costretta a rivolgersi a Pechino per bilanciare la perdita di investimenti occidentali. Morale della favola: secondo McKinsey, istituto di ricerca americano, gli investimenti non finanziari cinesi sono cresciuti del 250% nel 2014, toccando quota 8 miliardi di dollari.

HSBC: 103 MLD DA PECHINO AL RESTO DEL MONDO. La tendenza sembra destinata a continuare. La banca Hsbc, citando fonti governative, afferma che nel 2014 gli investimenti diretti cinesi verso il resto del mondo sono cresciuti del 14,1%, raggiungendo i 102,9 miliardi di dollari, mentre quelli stranieri in Cina sono aumentati solo dell’1,7%. I primi sono ancora inferiori ai secondi, ma secondo l’istituto le cose potrebbero cambiare molto presto.
Sarebbe una svolta storica e il governo ne sarebbe contento, perché sono state proprio le autorità pubbliche a incoraggiare l’espansione internazionale delle compagnie cinesi. Per esempio, Pechino ha recentemente inaugurato un progetto chiamato Nuova Via della Seta che dovrebbe unire la Cina e l’Europa tramite una rete di autostrade, ferrovie e gasdotti da costruire in Asia centrale e meridionale, facilitando ulteriormente gli investimenti nei Paesi di riferimento.

L’AIIB E LA SFIDA ALLA WORLD BANK. Il progetto verrà probabilmente realizzato con l’aiuto dell’Asian Infrastructure Investement Bank (Aiib), voluta dal presidente Xi Jinping lo scorso autunno con l’intenzione non dichiarata – ma secondo molti esperti ovvia – di rivaleggiare la Banca Mondiale.
La nuova istituzione, capitanata dalla Cina e aperta ad altri Stati (Italia, Germania e Francia dovrebbero essere tra i membri fondatori), avrà un budget iniziale di 50 miliardi di dollari e servirà a finanziare investimenti nei Paesi in via di sviluppo, contribuendo così ad accrescere l’influenza della Repubblica Popolare sul vicinato. E pure oltre.

Lettera 43,24/03/2015

L43

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