Politica del figlio unico in Cina. 33 mln di uomini in più rispetto alle donne

Questo squilibrio priva di una compagna molti cinesi. Alla fine del 2014 in Cina vi erano 33 milioni di uomini in più rispetto alle donne. Decenni di aborti selettivi, di abbandono impunito di bambine in fasce e di politiche di pianificazione familiare draconiane hanno prodotto uno squilibrio demografico equivalente alle dimensioni di un paese di media grandezza.


Nel mondo nascono in media 103/107 maschi ogni 100 femmine. Ma in Cina l’anno scorso il rapporto alla nascita era di 115,88 a 100. Così alla fine del 2014 la popolazione cinese era di 700 milioni di uomini contro 667 milioni di donne, uno scarto di 33 milioni: uomini che non avranno mai una compagna di vita tutta per sé, un numero più elevato del totale di tutti gli uomini residenti in Italia.

In Cina per avere dei figli ci vuole il permesso dello stato, e in base alla Politica del figlio unico, lo stato concede il permesso di averne più di uno solo alle coppie residenti in zone rurali, a condizione che il primo figlio sia una femmina. Alle coppie di città è proibito, salvo nel caso in cui entrambi i genitori siano figli unici.

Chi si azzarda a farne di più, rischia l’aborto forzato, la sterilizzazione, la confisca dei beni, la perdita del lavoro e/o lo sfratto. La pratica dell’aborto selettivo deriva dalla preferenza radicata nella cultura cinese per il figlio maschio, perché è sull’uomo che grava il dovere di mantenere i genitori anziani. Di conseguenza le famiglie, potendo avere un figlio solo, rifiutano il feto di sesso femminile, per tentare con un’altra gravidanza di concepire l’erede maschio.

Il conseguente squilibrio demografico ha avuto effetti drammatici per le donne, cinesi e non. Secondo un rapporto del 2013 redatto dal Dipartimento di stato Usa sul traffico delle persone (Tip Report), vengono rapite e ridotte a schiave del sesso donne e bambine dell’interno della Cina e di altri paesi asiatici (come la Birmania, il Vietnam, il Laos, Singapore, la Mongolia e la Corea del Nord), ma anche prelevate dalla Russia, dall’Europa, dall’Africa e dalle Americhe.

Per questo nel 2013 il Dipartimento di stato americano aveva diminuito lo status della Cina dalla classe 2 alla classe 3, portandola allo stesso livello dell’Iran, del Sudan e della Corea del Nord e aprendola al rischio di sanzioni, se approvate dal presidente degli Usa.

Il 1° gennaio 2014 il governo cinese ha fatto una modifica superficiale, annunciando che anche le coppie in cui uno solo, o moglie o marito, era figlio unico, potevano chiedere il permesso di fare un secondo figlio. Ma ciò è bastato perché gli Stati Uniti riportassero il rating della Cina al livello 2, nonostante il Partito comunista cinese non si fosse affatto impegnato a mettere fine all’aborto forzato.

Adesso il governo cinese ha fatto sapere di avere intenzione di contrastare con nuovi provvedimenti il ricorso alle analisi del sangue per determinare il sesso di un feto, mettendo in subbuglio le agenzie che lucrano sui campioni di sangue inviati all’estero per aggirare la legge cinese.

Reggie Littlejohn, fondatrice e presidente dell’associazione californiana Women’s Rights Without Frontiers, ha fatto appello a Pechino affinché riduca gli aborti selettivi fornendo incentivi economici alle famiglie con bambina femmina e uno speciale compenso alle coppie in età da pensione che non hanno figli maschi che le mantengano.

Va detto che le élite politiche e finanziarie hanno sempre potuto permettersi le multe da pagare per avere famiglie più grandi. Si chiamano tariffe di compensazione sociale e possono arrivare fino a 14 volte lo stipendio annuale. Al secondo bambino di genitori che non pagano tale tariffa non sono assicurate né le cure mediche né il diritto di andare a scuola.

Italia Oggi,15/04/2015

English version, Womens Rights Without Frontiers:

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