Cina, Thailandia, Indonesia, India, Vietnam e Bangladesh, dietro allevamento di gamberi si nascondono violazioni dei diritti umani e disastri ambientali (video Rai 3)
Negli ultimi anni la richiesta dei consumatori per gamberi e scampi è in costante aumento. Questi crostacei hanno conquistato quote di mercato sempre maggiori e sono tra i prodotti della pesca più richiesti, tanto da rappresentare da soli il 20% del mercato ittico internazionale.
Provengono da acquacolture nel 60% dei casi e vengono allevati e pescati in zone tropicali per lo più asiatiche come Cina, Thailandia, Indonesia, India, Vietnam e Bangladesh.
Nella foto bambini lavorano negli allevamenti di gamberi, dove raccolgono le lumache perché mangiano lo stesso cibo dei gamberi. Distretto di Chakaria. (foto Liza Boschin)
Nell’acquacoltura di gamberi e scampi non esiste una scelta etica, né lontanamente sostenibile e la tracciabiltà del prodotto è una finzione, visto che lo scopo delle multinazionali del settore, una fra tutte la Seamark è solo quello del profitto.
Dietro questi piccoli crostacei si celano, infatti, violazioni dei diritti umani, schiavismo, disastri ambientali e corruzione difficili da immaginare.
Se i gamberetti selvaggi subiscono una pesca intensiva con reti a strascico che fanno strage di qualsiasi forma di vita marina (comprese le specie in via d’estinzione), gli allevamenti di gamberi sono ancora peggiori, perché causano la distruzione di interi ecosistemi legati alle foreste di mangrovie, che vengono rase al suolo per far spazio ai bacini artificiali per l’acquacoltura.
Non dobbiamo pensare che siano problemi lontani dal nostro quotidiano e che non abbiano nulla a che fare con la nostra salute, dal momento che negli allevamenti intensivi di gamberi tropicali si fa largo uso di sostanze chimiche, come disinfettanti, pesticidi e antibiotici (anche quelli proibiti in Europa).
Questo per evitare che nelle vasche piene fino all’inverosimile di gamberi si propaghino infezioni.
In più acque così inquinate e impoverite sono inservibili anche per i pescatori che non possono neanche convertirsi in agricoltori, poiché l’acqua salata proveniente dai bacini di allevamento causa la salinizzazione dei suoli, trasformando terreni arabili e produttivi in veri e propri deserti.
Ma a rischio non è solo la nostra salute di consumatori e le economie famigliari asiatiche, ma soprattutto i diritti e la libertà di chi in questo settore ci lavora (si parla di circa 300 mila persone) The Guardian, nel 2013 ha scoperto che l’industria dei gamberi thailandese, una delle più fiorenti e rinomate al mondo, vive grazie a immigrati senza tutele, che arrivano per lo più da paesi confinanti come Birmania e Cambogia.
Si tratta di uomini comprati e venduti come animali e tenuti contro la loro volontà sui pescherecci Thailandesi per garantire ai supermercati occidentali la fornitura di scampi e gamberetti a basso costo che i consumatori richiedono.
Parliamo di “veri e propri schiavi costretti a lavorare per anni senza paga sotto la minaccia della violenza” vengono allevati e raccolti buona parte degli scampi e dei gamberetti che arrivano nei nostri supermercati.
Testimonianze raccontano storie terrificanti di botte, torture, esecuzioni. Gli schiavi delle multinazionali lavorano con orari insostenibili senza nessun momento di pausa, pagati 15 euro al giorno per 12/14 ore. A molti vengono somministrate anfetamine perché non interrompono il lavoro. Sono vittime del traffico di umani:li vendono come animali.
Le terre per l’acqualcoltura vengono strappate con la forza e la violenza ai piccoli proprietari.
I segnali di questo meccanismo della schiavitù nell’industria ittica thailandese erano arrivati da organizzazioni non governative e da un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), già nel 2013, che parlava apertamente di “gravi abusi” a bordo dei pescherecci Tailandesi e descrivendo “casi di violenza e lavori forzati”.
Come se non bastasse, aveva ben evidenziato Altroconsumo nella sua attenta indagine, “Secondo i dati del Labour Rights Promotion Network (LPN) gran parte dei lavoratori di questo settore sono minori: il 19% ha meno di 15 anni, mentre un altro 22% è tra i 15 e 17 anni.
Lavorano su pescherecci o in capannoni sporchi e malsani, esposti a sostanze chimiche aggressive e senza cure mediche in caso di necessità. Vivono, anzi sopravvivono, alla mercé di caporali che li brutalizzano e che, dopo aver requisito loro i documenti, li tengono in pugno. Sono costretti a sgusciare gamberetti anche per dodici ore al giorno.
Il Guardian ha raccontato come le navi con gli schiavi raccolgano enormi quantità di “pesce spazzatura”, piccolo e non commestibile, che poi dopo essere stato trasformato in farina di pesce approda negli allevamenti per fungere da mangime per gamberetti e scampi. Questi crostacei sono molto voraci, occorrono circa tre chili di questa farina per nutrire un solo kg gambero. Nella sola Thailandia si produce 350 mila tonnellate di questa farina all’anno.
L’inchiesta ha portato alla luce come la più grande azienda nella distribuzione di gamberetti, la Charoen Pokphand (CP) Foods, che fornisce catene come Aldi, Carrefour, Costco, Tesco e Walmart compra proprio questa farina di pesce per i suoi allevamenti.
La CP Foods ha dovuto ammettere che gli schiavi sulle barche e negli stabilimenti di trasformazione sono una realtà negli ambienti dove si approvvigiona di scampi e gamberi.
La Fao e la Banca Mondiale spingono sulla industria del gambero solo per gli enormi interessi economici.
I funzionari politici vengono corrotti in cambio della loro complicità.
Ma anche come consumatori non si può più fare finta di niente. “Scegliamo di non acquistare gamberetti e scampi che provengano dall’Asia e se non è possibile verificarne la provenienza, non acquistiamoli affatto” perché “se acquistiamo scampi e gamberetti provenienti dalla Thailandia, tanto più se sono sgusciati, compriamo qualcosa che è stato prodotto rendendo schiavi degli esseri umani” ha detto Aidan McQuade, direttore di Anti-Slavery International.
Gianni Taeshin Da Valle,Laogai Research Foundation, 22/03/2015
Inchiesta The Guardian:
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Video Rai 3 (Presa Diretta, puntata del 16/03/2015):
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