Cina, torna in libertà l’ultimo prigioniero di Tiananmen

Miao Deshun aveva 25 anni quando sfidò i carri armati. Oggi ne ha 52 ed è l’ombra di se stesso: malato e depresso, da tempo ha smesso di vedere anche i suoi familiari. Tra qualche giorno uscirà dalla galera in cui ha trascorso più di un quarto di secolo

L’ultimo prigioniero di Tiananmen torna finalmente libero ma l’uomo che protestava in piazza per la libertà oggi è il fantasma di se stesso, malato e deprivato di tutto, a cominciare dalla sua dignità. Miao Deshun aveva 25 anni quando sfidò i carri armati mandati da Deng Xiaoping a stroncare nel sangue la primavera di Pechino. Era il 4 giugno di quel 1989 che cambiò il mondo per sempre e per tutti, tranne che per questa parte di mondo. Cinque mesi dopo crollò il muro di Berlino ma la Grande Muraglia cinese ­è ancora qui.

La notizia della sua scarcerazione non trova nessuna conferma. L’hanno data gli attivisti di Dui Hua, il gruppo con sede a San Francisco e a Hong Kong che cerca di tenere sotto controllo la triste contabilità delle vittime della repressione. Una telefonata di Repubblica alla sede di Hong Kong non ha dato nessun esito: al messaggio lasciato in segreteria nessuno ha al momento risposto. Secondo i calcoli di Dui Hua, l’ultimo detenuto politico dell’89 dovrebbe essere liberato il 15 ottobre dopo avere ottenuto una riduzione di pena di 11 mesi a marzo. Ma l’ex ragazzo della primavera cinese è oggi un uomo di 52 anni che da tempo ha deciso di non vedere più neppure la sua famiglia: non voleva che continuassero a imbarcarsi in quel lungo viaggio dalla provincia. E poi per andare a trovare chi? È dal 2003 che Deshun è una larva schiacciata nel carcere specialissimo di Yanqing sulle montagne a quattro ore da Pechino. È l’ultimo girone dei 1.602 prigionieri che erano finiti nelle carceri di tutta la Cina dopo la protesta. Qui hanno rinchiuso quelli che chiamano “malati mentali”. E la malattia mentale di Miao Deshun è quella di non essersi mai dichiarato colpevole di nulla.

Il giovane operaio era stato condannato a morte con l’accusa di incendio: solo per avere lanciato un cestino su un carro armato che già bruciava. La condanna era poi stata trasformata in ergastolo, fino alla riduzione di pena della Prima Corte Intermedia del Popolo qui a Pechino. Sostiene il leader degli attivisti di Dui Hua, John Kamm, in un comunicato di qualche mese fa, che il prigioniero soffre di epatite B e schizofrenia. E pensate che cosa dev’essere stato vivere in isolamento per decenni. I pochi prigionieri che erano riusciti a incrociarlo descrivono un uomo magrissimo, emaciato, che non partecipava mai neppure al lavoro con gli altri detenuti, perché questo significherebbe in pratica accettare la riabilitazione. Dicono che preferiva restarsene sempre chiuso in cella a leggere il giornale. “Era uno tranquillo, spesso depresso”, ha ricordato alla Bbc Dong Shengkun, un altro prigioniero di Tiananmen che aveva diviso la cella con lui. “Avevano sospeso a entrambi la pena di morte ma dovevamo portare le catene ai piedi. A me le misero, a lui noi. Disse che le guardie probabilmente pensavano che era troppo magro: non sarebbe stato capace di camminare sotto il peso delle catene”.

Le migliaia di studenti scesi in piazza 27 anni fa hanno dato vita da allora a una vera e propria diaspora. Tanti sono riusciti a fuggire: Stati Uniti, Taiwan, Gran Bretagna. Chai Ling, una delle ragazze leader della rivolta, oggi vive negli Usa, è stata due volte candidata al Nobel per la Pace e ha dato vita a un’organizzazione non profit. Wang Dan era uno dei più noti portavoce durante quelle settimane di occupazione a Tiananmen. Le foto di allora lo ritraggono in piazza, gli occhialoni che spuntano dietro al megafono. È stato sei anni in prigione, è scappato negli Usa e poi da lì a Taiwan, dove oggi insegna all’università.

Ma sono le storie dei tanti poveracci come Miao Deshun quelle più tragiche. Non erano solo studenti: tanti operai, tanti contadini, tanti giovanissimi impiegati. Come succede in ogni diaspora politica, oggi c’è pure chi accusa i leader di allora di essere riusciti a fuggire e non essersi più occupati di chi è rimasto dietro. Ma queste sono spesso polemiche montate ad hoc. La rivolta, qui, è un tabù: per un’intera generazione nata dopo il 1989 non è mai neppure avvenuta, e non serve cercarla su Internet perché su Internet non c’è. Chi allora c’era, invece, ricorda benissimo. Come il direttore del giornale vicino al potere, Global Times, che qualche tempo fa - ricordano oggi i giornali di Hong Kong, gli unici che possono occuparsi liberamente di quella protesta - dedicò al povero Miao Deshun un durissimo editoriale: “La vita di chi ha scommesso sul lato sbagliato della storia vale meno di una piuma”. Infatti. Ventisette anni dopo, l’ultimo prigioniero di Tiananmen oggi pesa meno di una piuma. E finalmente può volare via.

Fonte: Repubblica, 14 ott 16

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