Uighuri a rischio dopo aiuti a matrimoni interetnici

Proteste da parte di O.N.G. che si battono per i diritti delle minoranze in Cina, per la decisione delle autorità di una contea cinese nella turbolenta regione dello Xinjiang di offrire soldi e benefit per i giovani che decidano di accettare un matrimonio inter-etnico.
Secondo quanto annunciato dall’amministrazione della contea di Qiemo, conosciuta anche come Qargan, nella provincia del nord ovest a fortissima presenza di Uighuri, una etnia turcofona e musulmana da tempo in lotta con Pechino per ottenere una reale autonomia, qualunque membro delle comunità etniche di minoranza, siano essi Mongoli o Uighuri, accettino di sposare un Han (l’etnia principale in Cina) otterrà 10.000 yuan (1500 franchi svizzeri) l’anno per cinque anni, oltre ad aiuti per la casa, per la scuola e la sanità.
Nella contea, che si trova a sud della provincia occidentale, vivono più di 100.000 persone, per la maggioranza (oltre il 70%) di etnia uighura, mentre gli Han sono meno del 25%. Il reddito annuo è di 7400 yuan.
Ma la mossa delle autorità viene vista da coloro che si battono per i diritti degli uighuri, soprattutto Ong e il World Uygur Congress, come un ulteriore tentativo di Pechino di limitare la minoranza turcofona, a cui viene già impedito di parlare la propria lingua, frequentare scuole islamiche, vestire con gli indumenti tradizionali ed altro.
La provincia dello Xinjiang è al centro di forti scontri tra hgli uighuri e gli Han soprattutto dal 2009, quando quasi 200 persone furono uccise nella capitale provinciale Urumqi in scontri a sfondo etnico. Da allora la regione è militarizzata ed è impossibile visitarla. Sono stati eseguiti migliaia di arresti e celebrati centinaia di processi nei quali sono state comminate decine di condanne a morte.
Swissinfo.ch, 03/09/2014
English version: To Temper Unrest in Western China, Officials Offer Money for Intermarriage, The New York Times, Sept. 2, 2014
Chi sono gli Uighuri e perché da tempo la regione del Xinjiang costituisce una spina nel fianco di Pechino?
La regione nel nord ovest cinese, lo Xinjiang, che significa proprio Nuova Frontiera, è una regione autonoma strategicamente rilevante per Pechino. Confina con otto stati, India, Pakistan, Russia, Mongolia, Kazhakistan, Afghanistan, Tagikistan e Kirghizistan, ed è ricca di risorse (gas, petrolio) fondamentali per Pechino. È inoltre, proprio grazie ai suoi confini, un passaggio obbligato per gli scambi commerciali verso l’Asia Centrale e l’Europa.
La regione è abitata storicamente da una maggioranza musulmana e turcofona, l’ etnia uighura, da sempre vicina a posizioni indipendentiste. Per chi visita la regione le sorprese non mancano: deserto, città arabeggianti, ottimo cibo, cinesi barbuti e alcune città meravigliose e affascinanti, come Kashgar, considerata culla storica dell’Islam. Quando a Urumqi – capoluogo della regione – sono le 7 del mattino è ancora buio: ci sarebbe almeno un’ora di differenza con Pechino, ma per sottolineare l’appartenenza ad un unico Stato, la Cina ha imposto lo stesso fuso orario della capitale.
Ogni uighuro però, ha almeno un’esperienza di repressione in famiglia: arresti, pestaggi o quotidiane esperienze spiacevoli in giro per il paese.
I cinesi han - quelli che consideriamo generalmente come i cinesi - considerano gli uighuri dei ladri, spacciatori, o persone in generale poco affidabili. Molti uighuri, mostrando la propria carta di identità nelle grandi città cinesi, faticano a trovare casa e lavoro. Una diffidenza reciproca – tra etnia uighura e han - che è aumentata negli ultimi anni a seguito di violenti scontri e di una sorta di sinizzazione dell’area imposta dal governo di Pechino.
Nel 2009 in Xinjiang ci fu una vera e propria rivolta etnica che causò centinaia di morti: Uighuri che assalivano gli Han, Han che assalivano Uighuri (con machete e coltelli) e polizia pronta a reprimere ogni movimento sospetto. La gente si rifugiava in casa, terrorizzata di vedersi assalire e massacrare. Durante quelle giornate divenne molto difficile capire cosa stesse accadendo, perché la regione venne chiusa, blindata: vennero anche staccate le linee telefoniche e internet. La repressione che seguì da parte di Pechino, fu durissima con arresti e decine di condanne a morte contro gli uighuri.
Gli ultimi scontri sono avvenuti quest’anno, a rendere evidente una situazione di guerra a bassa intensità che non viene mai citata solo dagli organi ufficiali della stampa controllati dal Partito Comunista e che anche a livello internazionale ha decisamente meno notorietà rispetto alle stesse istanze autonomiste della regione autonoma del Tibet.
Gli xinjianesi sono musulmani ed erano l’etnia maggioritaria in Xinjiang, fino a quando – una decina d’anni fa – Pechino non ha lanciato la campagna Go west. Obiettivo: sviluppare l’industrializzazione e l’urbanizzazione di vaste zone dell’ovest cinese non ancora toccate dallo sviluppo miracoloso delle zone del sud est del paese. Ma la campagna ha finito per riversare nella regione nord occidentale milioni di cinesi han che hanno cambiato radicalmente la zona, portando l’etnia uighura a non essere più maggioranza nella regione.
Sono sorte città “cinesi”, o divisioni nette tra zone arabe e zone cinesi, ipermercati, grandi ammassi di case e abitazioni. Il giro d’affari però è rimasto nelle mani degli han, sostengono gli uighuri, senza che la popolazione locale abbia potuto beneficiare di alcun vantaggio.
La sinizzazione dell’area, inoltre, ha finito per esasperare ancora di più le richieste di autonomia dell’etnia uighura (lingua, cultura, religione), unitamente al tentativo di salvaguardare le città storiche, trasformate in tante Disneyland moderne dalla colonizzazione cinese.
Pechino dal canto suo considera lo Xinjiang alla stessa stregua del Tibet: un problema interno e una zona cinese. In più ritiene che sul territorio xinjianese imperversino terroristi separatisti musulmani. La Cina, non a caso, ha tentato più volte negli ultimi tempi – anche in sede Onu, in relazione alle risoluzioni siriane – di vedere riconoscere internazionalmente il terrorismo separatista uighuro che viene considerato connesso ad Al Qaeda.
A testimoniare questa linea d’azione cinese nei confronti dello Xinjiang, l’ultima nota di cronaca prima dell’incidente di Pechino: uno degli ultimi uighuri arrestati nell’ambito della campagna contro i rumors on line è stato accusato di “diffusione online della jihad”.
da fonte Wired.it
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