Corea del Nord, l’Onu vuole processare Kim Jong-un
L’Ue in prima fila per portare il leader alla sbarra: ma pesano i veti di Russia e Cina.
Kim Jong-un, il leader della Corea del Nord di cui si sono perse la tracce da oltre un mese, è di nuovo nel mirino dell’Onu per le ripetute violazioni dei diritti umani: l’obiettivo ora è processarlo davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja.
L’Unione europea sembra avere un ruolo di primo piano nella vicenda, al punto da aver inviato uno schema di risoluzione per iniziare a raccogliere il sostegno degli Stati e poter avviare l’azione contro l’esponente dell’ultima generazione della famiglia Kim, al potere da oltre 60 anni.
CONFERME DA SEUL. Il piano, anticipato dai media sudcoreani, è stato confermato dal ministero degli Esteri di Seul che, in una nota, ha rilevato che si «richiederà molto coordinamento nella fase negoziale». Uno scenario che rende «prematuro» immaginare il tenore di un eventuale testo definitivo, ma sufficiente a smuovere le acque sul primo tentativo del Palazzo di Vetro di valutare «la leadership nordcoreana responsabile delle violazioni dei diritti umani», secondo alcune fonti citate dal quotidiano Korea Times.
RAPPORTO DI 400 PAGINE. La risoluzione, che una volta definita dovrà essere votata tra l’altro dall’Assemblea generale dell’Onu, è da inquadrare come il passaggio successivo al lavoro svolto dalla Commissione d’inchiesta (Coi) a febbraio che, in un rapporto di quasi 400 pagine, aveva puntato l’indice contro Pyongyang e i vertici del regime «per i numerosi e gravissimi crimini contro l’umanità».
VIOLAZIONI SISTEMATICHE, DIFFUSE E GRAVI. Un atto d’accusa per l’uso sistematico della tortura, della fame e delle uccisioni paragonabile «alle atrocità dell’epoca nazista», concluso con la raccomandazione di perseguire tutti i responsabili, tra cui lo stesso Kim. Formalizzato anche a marzo, quando il Consiglio dei diritti umani dell’Onu a Ginevra ha approvato una risoluzione di condanna della Corea del Nord per «violazioni dei diritti umani sistematiche, diffuse e gravi». Da allora Pyongyang ha avviato sforzi diplomatici per tentare di allentare le pressioni internazionali sullo spinoso tema, tra cui una missione di Kang Sok-ju, a capo delle relazioni esterne per il Partito dei lavoratori, in Europa e Mongolia.
AMMESSI I CENTRI DI DETENZIONE. Lo scorso 8 ottobre, invece, Choe Myong-nam, funzionario del ministero degli Esteri del Nord, ha ammesso per la prima volta l’esistenza dei campi, sia pure nella forma di «centri di detenzione». In un briefing, Choe ha spiegato che «abbiamo centri di detenzione in cui le persone migliorano la loro mentalità, si bloccano le malefatte e ci si rigenera attraverso il lavoro. Questo accade nei centri». Gli ostacoli comunque non mancano, a partire da Cina e Russia che, come membri permanenti del Consiglio di sicurezza, hanno opposto più volte il diritto di veto. L’Onu ha però di recente adottato risoluzioni con un voto formale piuttosto che cercare di raggiungere il consenso. Intanto, resta sempre incerta la sorte di Kim Jong-un, ormai assente da eventi pubblici, anche di rilievo, da più di un mese. Tra ipotesi di malattie, interventi chirurgici e addirittura colpi di Stato, il prossimo banco di prova è per il 10 ottobre, quando la Corea del Nord terrà la cerimonia annuale in onore del 69esimo anniversario della fondazione del Partito dei lavoratori.
Lettera43.it,09/09/2014
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