Cos’è il traffico di organi umani e quali sono le sue dinamiche?

Le legislazioni internazionale, regionale e statale sono adeguate nella prevenzione e nella repressione di quest’attività criminale?
L’obiettivo dello studio presentato nella tesi di ricerca in criminologia di seguito pubblicata è proprio quello di far luce sul traffico di organi umani, definendolo, descrivendolo ed analizzando le principali risposte normative volte alla sua eliminazione. Nel contempo cerca di valutare la concreta capacità preventiva di queste ultime e ipotizza dei metodi sperimentali paralleli che, se applicati dalla comunità mondiale, potrebbero dare dei risultati positivi nell’eliminazione del crimine su scala globale. Raramente testate giornalistiche, canali di comunicazione e di informazione, ricerche accademiche parlano di traffico di organi umani e, quand’anche ciò avviene, lo fanno spesso genericamente, senza spiegare i caratteri principali del fenomeno (cause, scopi, protagonisti, Paesi più colpiti, rotte, ecc.), ma soprattutto senza verificare che gli interlocutori abbiano un’immagine omogenea di esso. Non a caso, la maggior parte della gente è convinta che “traffico di organi umani” significhi rapimenti, assassinii a fini di espianto, furti da cadavere, oppure lo collega a storie grottesche di giovani vacanzieri in qualche località del Sud del mondo che si risvegliano dopo una notte di alcol e divertimenti in una vasca colma di ghiaccio con una cicatrice sanguinante sul lato inferiore dell’addome e trovano un post-it che li invita a chiamare un’ambulanza perché è stato loro asportato un rene. Anche le istituzioni internazionali e regionali non sempre hanno un’immagine chiara di tale forma di delinquenza ed è facile (in realtà soprattutto in passato, prima della Dichiarazione di Istanbul del 2008 ) che lo scambino con un crimine affine, ma profondamente diverso nei presupposti che lo caratterizzano, ovvero la tratta di persone a scopo di rimozione di organi. Il risultato di questa confusione è che gli strumenti di prevenzione o di repressione adottati nel corso degli anni si sono risolti in mere dichiarazioni di principio, poco adatte nei singoli contesti e poco efficaci nella lotta ai trafficanti di organi umani. Tracciare una linea di confine fra i due illeciti è oggi fondamentale per le organizzazioni mondiali e per i singoli Stati in un’ottica sia di contrasto alla criminalità internazionale specializzata in espianti illegali e sia di salvaguardia dei fondamentali diritti umani, fra cui quello di dignità della persona e di integrità del corpo.

Cos’è, in breve, il traffico di organi?
A differenza di ciò che normalmente si pensa, il cd. organ trade vittimizza soggetti in vita, consapevoli e consenzienti ed ha per oggetto normalmente i reni. Traffico di organi significa uomini e donne in condizioni talmente gravi di miseria e analfabetismo che si lasciano influenzare da pubblicità fallaci o voci diffuse che propongono lo scambio di un rene con ingenti somme di denaro; significa intermediari criminali che si occupano non solo di “piazzare” le parti umane a ricchi beneficiari delle Regioni industrializzate del globo, ma anche di corrompere tutta quella catena di agenti legali (chirurghi, infermieri, amministratori di ospedali e/o cliniche private, agenzie di viaggio, tassisti, gestori di albergo e così via) senza i quali il meccanismo illecito espianto-impianto non potrebbe realizzarsi. Ma traffico di organi significa anche Laogai e condannati a morte. Col termine “laogai” si intendono i campi di concentramento istituiti da Mao Zedong nel 1950 sul modello dei Gulag sovietici al fine di eliminare ogni forma di dissenso nei confronti del Partito Comunista che, dal 1949, è diventato partito unico di governo nella Repubblica Popolare Cinese. Se essi spesso sono ricordati (non tanto dalle istituzioni internazionali, quanto da alcune ONGs, fra cui la Laogai Research Foundation) per le atrocità e trattamenti disumani verso i detenuti, costretti al lavoro forzato in condizioni disumane a vantaggio economico del Governo Cinese e di numerose multinazionali, poco si sa del fatto che i laogai costituiscono anche una “fabbrica di morte e di organi”. Le vittime sono i condannati a morte (fra il resto, condannati di frequente per futili motivi ed ingiustamente) che scontano i giorni, i mesi o gli anni precedenti all’esecuzione capitale in uno di questi campi di lavoro. Prima di essere assassinati vengono intubati e preparati per l’espianto, che avviene entro quindici minuti dal decesso, pena la perdita di funzionalità degli organi interessati. Gli organi vengono prelevati da chirurghi complici presenti sul luogo e trasportati in ambulanza negli ospedali vicini, dove vengono impiantati nel corpo di facoltosi acquirenti, solitamente stranieri. L’aspetto più macabro di questa particolare forma di traffico riguarda la collusione fra le autorità statali: Harry Wu, noto attivista per i diritti umani in Cina e prezioso testimone di questi orrori, in quanto detenuto per diciannove anni in vari laogai, sostiene infatti che i Giudici diano l’ordine di procedere all’esecuzione nell’esatto istante in cui un potenziale compratore, contattato attraverso brokers criminali che operano su circuiti internazionali, reclama un nuovo organo. Sebbene le proteste di numerose ONG tentino da anni di rendere trasparente la verità sulla sorte dei condannati a morte cinesi, il regime comunista di Pechino ha ammesso solo nel 2005 di prelevare gli organi dai prigionieri, una pratica iniziata in realtà a metà degli anni ’80. Esiste tuttavia una discrepanza fra i numeri confessati dal Governo e quelli reali, che fanno pensare ad un vero e proprio business “a costo zero” per lo Stato, soprattutto se si considera che la detenzione e anche la pallottola utilizzata per l’esecuzione è a carico dei parenti del condannato. Incurante della profonda violazione dei diritti umani che tale traffico implica, il Partito ha adottato leggi “fittizie”, che solo apparentemente puniscono l’espianto degli organi dopo le esecuzioni capitali senza il consenso del detenuto o della famiglia. A livello di legislazione internazionale, così come su scala regionale, le politiche di repressione dell’organ trade peccano di eccessiva genericità: non configurano l’attività degli intermediari criminali come reato e, anzi, spesso neppure la menzionano, definendo il traffico in termini vaghi e rubricandolo come violazione dei diritti umani, senza tuttavia sanzionarlo. I singoli Stati, dal canto loro, presentano delle norme più precise, ma che variano da contesto a contesto. Una particolarità consiste nel fatto che, paradossalmente, proprio i Paesi maggiormente colpiti dalla piaga del traffico (ossia di residenza/dimora delle vittime) presentano leggi più ferree e punitive per i criminali, mentre gli Stati del Nord del mondo (da dove provengono i beneficiari degli organi espiantati) non di rado dimenticano il nesso venditore-intermediario-beneficiario, limitandosi a punire i due capi di questa triade (venditori e acquirenti, che altro non sono se non le vittime del crimine), trascurando invece di prevedere delle pene per gli organizzatori e veri responsabili del commercio di organi. I principali problemi nella lotta al traffico di organi, in conclusione, consistono in un estremo disordine etimologico, in una profonda confusione circa la natura ed i presupposti del traffico di organi ed in una scarsità di fonti che rivelino quali siano le sue vittime. L’ecletticità negli “approcci” normativi, sia sul piano internazionale che locale, rende impossibile colpire attraverso pene e sanzioni efficaci le fondamenta del traffico di organi e ferire a morte il vertice delle gerarchie della criminalità organizzata transnazionale che se ne occupa. Si rende necessaria, pertanto, una riflessione della comunità mondiale circa la possibilità di intervenire attraverso altri mezzi rispetto alle leggi, per loro natura generali ed astratte, ossia tramite dei meccanismi che esulino dal diritto puro e semplice e si aggrappino ad altre scienze. Nella tesi di seguito pubblicata si ipotizza così un metodo nuovo di studio del traffico di organi, volto ad eliminare o quanto meno a ridurre le occasioni di profitto dei trafficanti, sconfiggendo così un crimine tanto efferato quale quello di cui si discute. Per fare questo si utilizzano gli insegnamenti della criminologia, scienza multidisciplinare per eccellenza, ossia, nello specifico, ci si basa sulle teorie razionali, sugli assunti della prevenzione situazionale e sul cd. “Metodo Falcone”.

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Ringraziamenti

Ho scritto questa tesi con dedizione e sono molto orgogliosa di poterla pubblicare sul sito della Laogai Research Foundation.
Voglio ringraziare il dott. Harry Wu, che ho avuto l’onore e la fortuna di incontrare in occasione di una conferenza organizzata dall’Associazione Culturale “La Torre” il 12 novembre 2011 presso Volano (TN).
La sua preziosa testimonianza mi ha fatto capire che la conoscenza è lo strumento più potente per sconfiggere i peggiori crimini cui la modernità di oggi, talvolta persino senza esserne consapevole, assiste.
Un sincero ringraziamento a Toni Brandi, Presidente della Laogai Research Foundation Italia Onlus e a Camilla Tincani, responsabile dell’ufficio centrale della stessa per avermi contattata ed aver reso così possibile la pubblicazione dell’elaborato.
Per aver organizzato la splendida serata con il sig. Wu e per avermi messo in contatto con la Laogai Research Foundation sono riconoscente all’Associazione Culturale “La Torre” (Volano – Trento -) ed, in particolare, ad Andrea Giovannazzi.

Ci tengo molto a ribadire infine la mia stima e il mio ringraziamento al dottor Andrea Di Nicola, ricercatore e docente di criminologia e criminologia applicata presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento, nonché mio relatore in sede di esame di laurea.
Il sorriso “Non dura che un istante ma il suo ricordo rimane a lungo.” (P. John Faber)
A lui, un grazie di cuore.

Clicca qui per il testo integrale della tesi dal titolo “Organi come merce: prospettive criminologiche e normative nel mercato mondiale

Elena Gabrielli

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