Distretto della scarpa chiuderanno 30 aziende: troppa concorrenza sleale
L’allarme della Cgil: «Servono più controlli sui laboratori clandestini per salvare il comparto»
Un’ecatombe per i terzisti del calzaturieri, fiaccati dalla concorrenza dei laboratori clandestini. «Con la fine del 2015 rischiano di chiudere i battenti una trentina di aziende, tra tomaifici e suolifici nell’area della Riviera. La lotta alla contraffazione cinese va condotta con più efficacia», è l’allarme lanciato dal l segretario della Filctem Cgil Riccardo Colletti e il responsabile di zona dello stesso sindacato Michele Pettenò. Ma c’è anche chi continuerà ad andare bene, pure in termini occupazionali. È il caso dei calzaturifici che lavorano per le grandi griffe.
Lo scenario 2016 sulle aziende del settore disegnato dalla Cgil, si aggiunge a quello descritto qualche mese fa da Federmoda. L’associazione di categoria ha certificato che dal 2008 a oggi sono spariti in Riviera quasi 40 tomaifici regolari, che sono stati però sostituiti da laboratori clandestini.
«Il comparto è in salute nella maggior parte dei casi», spiega Colletti, «ma ha dei segmenti in forte difficoltà. Il distretto Calzaturiero della Riviera del Brenta dà lavoro con 800 aziende a 11 mila dipendenti. Chi lavora con marchi rinomati e prodotti di lusso ha incrementato il giro d’affari e in qualche caso anche il personale dipendente. Vanno male invece i tomaifici e i suolifici, in grande difficoltà di fronte alla concorrenza sleale cinese. Sono gli ultimi rimasti, bisogna fare in modo che questa tradizione produttiva della zona non sparisca definitivamente. Quelli che resistono devono confrontarsi con una concorrenza sleale, che taglia anche su aspetti importanti come la sicurezza sui luoghi di lavoro». Ad accelerare il processo è stata la crisi economica. «La crisi ha fatto sì che i calzaturifici della zona per restare sul mercato abbiamo di fatto favorito la nascita di tomaifici e suolifici clandestini, quasi tutti cinesi, con lavoratori», sostiene Michele Pettenò, della Filctem Cgil, «che fanno 12-14 ore al giorno, in nero, senza alcuna tutela diritto. Il costo di questi prodotti è un terzo o un quarto di quello di un tomaificio regolare che prima della crisi aveva con sé mediamente una decina di operai, ora ridotti ad una media di 6-7».
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