Tra i due litiganti il terzo gode……la Cina

Non è facile trovare un modo per avere contemporaneamente relazioni diplomatiche significative e fare affari in settori strategici con due paesi dai rapporti complicati come il Sudan e il Sud Sudan, ma la Cina sembra esserci riuscita.

La presenza sempre più importante di Pechino nell’area è cominciata quando il Sudan era ancora un unico paese e si è concentrata in particolare nel settore petrolifero e nella fornitura di armamenti. Con l’indipendenza del Sud Sudan, la gran maggioranza dei pozzi rimasero al sud, mentre le infrastrutture per il trasporto e per la commercializzazione erano al nord. Era giocoforza trovare un modo per continuare a far fruttare gli ingenti investimenti nel settore: 20 miliardi di dollari fino al 2011, secondo stime ufficiali cinesi. Ancora oggi la Cina, soprattutto attraverso la compagnia di stato, China national petroleum corporation (Cnpc), controlla il 75% degli investimenti stranieri nel settore a Khartoum, con una ingente crescita prevista nei prossimi anni, a giudicare dagli impegni presi durante la recente visita del ministro del petrolio sudanese a Pechino. Ma importa una quota significativa del suo fabbisogno di petrolio dal Sud Sudan, cui ha promesso 80 miliardi di investimenti nel prossimo futuro.

Per questo la Cina ha avuto un ruolo di primaria importanza nella mediazione del contrasto sui diritti di passaggio del petrolio sud sudanese negli oleodotti sudanesi, fino al terminal per la commercializzazione di Port Sudan. Ha giocato un ruolo rilevante anche nel breve, ma preoccupante, conflitto tra i due paesi per i pozzi della zona contesa di Heglig. L’impegno diplomatico nell’area è forse il più rilevante in Africa, tanto che proprio in Sud Sudan la Cina partecipa alla missione di pace dell’Onu (Unmiss), con un contingente di poco più di 1.000 uomini, due dei quali sono rimasti uccisi proprio negli scontri che hanno insanguinato Juba all’inizio di luglio.

Pechino dimostra lo stesso interesse per i due paesi anche nel commercio delle armi, equamente distribuite ai due governi, che poi le impiegano dove più servono, com’è ovvio che sia. Secondo un rapporto discusso l’anno scorso in questo periodo dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, Pechino è tra i maggiori fornitori d’armi del governo sud sudanese. La China north industries corp (Norinco), la fabbrica di armi governativa, per esempio, gli avrebbe venduto armi e munizioni per 20 milioni di dollari nel luglio del 2014, in piena guerra civile. Ed è sicuro che anche le forze dell’opposizione fedeli all’ex vicepresidente Machar, usano armi cinesi, fornite direttamente da Khartoum. Lo ha dimostrato l’organizzazione inglese Conflict armament research specializzata nella ricerca sul traffico delle armi durante i conflitti. Secondo un suo rapporto pubblicato in giugno, l’esercito governativo avrebbe sequestrato 1.300 scatole di munizioni alle truppe dell’opposizione. Quelle munizioni farebbero parte di una consegna cinese fatta nel 2014 al Niss, il servizio di sicurezza sudanese, ed evidentemente passate immediatamente alle truppe di Machar.

Non è un caso, allora, che la Cina, non sola per la verità, si sia sempre opposta ad ogni idea di embargo per il commercio delle armi al Sud Sudan, anche se il già citato rapporto al Consiglio di sicurezza dice chiaramente che le armi cinesi hanno molto contribuito a prolungare la guerra civile nel martoriato paese.

Ma si può anche pensare che la fornitura di armi al Sudan e al Sud Sudan non sia esclusivamente una questione di soldi, ma anche un modo per tenere in equilibrio i delicati rapporti con i due paesi, a difesa di investimenti rilevanti e sempre in crescita in diversi settori, ma in particolare in quello energetico.

Nigrizia,10 ago 16

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