ECONOMIA: Concorrenza sleale, la UE non favorisca la Cina. E il governo tuteli le nostre aziende.
Quando la Cina ha aderito all’Organizzazione mondiale del commercio, nel 2001, alcune tra le maggiori economie mondiali, come gli Stati Uniti e l’Unione europea, rifiutarono, giustamente, di riconoscere a Pechino lo status di economia di mercato (SEM), sostenendo che i prezzi interni cinesi fossero fissati da agenzie governative e politiche statali, invece che dal rapporto tra domanda e offerta.
Il risultato di questa situazione, incluso nell’accordo stesso di adesione della Cina all’OMC, fu che i partner commerciali di Pechino poterono imporre pesanti dazi sulle importazioni dalla Cina di merci a prezzi eccessivamente bassi sostenendo che il contrario avrebbe provocato un “dumping” sciale eccessivo nei Paesi occidentali.
Oggi, a quasi 15 anni dall’entrata della Cina nell’OMC, L’accordo/Protocollo di Accesso all’OMC prevede che questa disposizione scada per l’appunto a 15 anni dall’adesione, e cioè il 12 dicembre 2016.
Tra le questioni sul tavolo quindi c’e’ il rischio che nelle prossime riunioni a Bruxelles in Commissione prevalga la puntuale richiesta della Cina del riconoscimento da parte dell’Ue dello status di economia di mercato. Pechino sostiene che il riconoscimento dello status dovrebbe avvenire “automaticamente a partire dalla data di scadenza stabilita in fase di accordo”, mentre altri opinano che non vi può essere automatismo, bensì la necessità di un’analisi d’impatto previa al riconoscimento basata sulla valutazione dei criteri di mercato.
Italia Unica, approcciando l’argomento con pragmatismo e evitando posizioni pre-ideologiche, valuta soprattutto gli effetti che la concessione di status di economia di mercato alla Cina avrebbe sull’economia europea, e su quella italiana in particolare. In tal senso e’ utile osservare che un eminente think-tank americano basato a Washington DC, Economic Policy Institute (EPI), ha recentemente pubblicato uno studio che dimostra che la concessione dello status di economia di mercato alla Cina metterebbe a rischio fino a 3,5 milioni di posti di lavoro nell’UE. Il rapporto dell’EPI evidenzia anche perdite nette per l’economia europea fino al 2% del PIL.
In particolare, dallo studio dell’EPI emerge che la concessione del nuovo status alla Cina metterebbe direttamente a rischio fino a 1 milione di posti di lavoro in Europa nelle industrie colpite, con perdite a catena fino a un ulteriore milione di posti di lavoro indiretti nei settori correlati. I successivi effetti negativi sul reddito potrebbero portare a 3,5 milioni di posti di lavoro persi nei successivi 3-5 anni.
Inutile sottolineare che tra i paesi maggiormente colpiti figurerebbe anche l’Italia, oltre alla Germania, al Regno Unito, alla Francia e alla Polonia.
Riguardo agli effetti sull’economia italiana, questo riconoscimento al paese asiatico realizzerebbe l’annullamento delle nostre imprese, del nostro sistema industriale che più di ogni altro soffre la competizione sleale con la Cina.
Confindustria stima che perderemmo tra i 400mila e i 500mila posti di lavoro (soprattutto settore manifatturiero e siderurgia), mentre lo studio dell’EPI sostiene che in Italia a rischio sarebbero tra i 208.100 ai 416.200 posti di lavoro, oltre agli investimenti primariamente nel settore della manifattura.
Italia Unica di unisce quindi a molte associazioni di categoria italiane ed europee nell’esprimersi nettamente contro a ogni forma di apertura e chiede inoltre ufficialmente, e con urgenza, al Governo italiano di intervenire per bloccare sul nascere un’iniziativa che sarebbe suicida per l’economia italiana. Prima di iniziare ogni processo legislativo, infatti, bisogna chiedere che la Commissione europea adotti alcuni passi preliminari che includono che la UE debba:
1) pronunciarsi sulla presunta automaticità del riconoscimento
2) effettuare un’approfondita analisi di impatto prima di concepire qualsivoglia modifica alla legislazione di base antidumping
3) coordinarsi strettamente con i partner globali, soprattutto gli Stati Uniti
l’Europa deve quindi mantenere la propria capacità di difesa legale in tema di norme anti-dumping presso l’OMC, anche perché ad oggi la Cina soddisfa solo uno dei cinque criteri stabiliti dall’UE per essere considerata un’economia di mercato.
In conclusione, ribadiamo che il riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina porterebbe alla sospensione di fondamentali misure anti-dumping, che attualmente servono ad evitare che le merci cinesi, prodotte a costi bassissimi, arrivino sul mercato europeo a prezzi molto inferiori a quelli di produzione dell’Unione, con pesanti conseguenze per l’industria europea. Infatti, allo stato attuale circa 50 provvedimenti anti-dumping cruciali attualmente in vigore in UE sarebbero vanificati dalla concessione del nuovo status alla Cina.
E’ dunque troppo chiedere al nostro governo che si svegli e che metta in campo fin d’ora misure concrete a tutela delle nostre piccole e medie imprese? E’ un reato di lesa maestà chiedere al governo perché gli eurodeputati del PD a Bruxelles non hanno firmato la dichiarazione contro l’automatica concessione del nuovo status alla Cina firmata invece da tutti gli eurodeputati italiani del centro-destra?
Speriamo che queste nostre parole non cadano nel nulla, e che poi non si dovrà dire nuovamente che l’Italia è arrivata tardi o che non ha saputo negoziare con Bruxelles. Ormai non ci sono più scuse!
Italia Unica,20/12/2015
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