Google vs Cina: la parola ai cinesi
Che Pechino sia rimasta stizzita dalla decisione di Google di abbandonare la Repubblica popolare non è una novità. Il dominio cinese di Google (www.google.cn) è stato definitivamente archiviato. Chi tenta di accedervi viene automaticamente dirottato all’indirizzo www.google.com.hk, la versione “più libera” di Google in Cina. Questo non significa che i cinesi avranno libero accesso alle pagine di Google Hong Kong.
Se fino a ieri era Google Cina ad autocensusarsi per non indispettire Pechino, da un paio di giorni è la Repubblica popolare a censurare come crede le pagine di Google Hong Kong che non vuole siano accessibili agli internauti della Repubblica popolare.
Ma i cinesi cosa ne pensano? Su Facebook circola una lettera aperta scritta da un blogger cinese residente a Hong Kong che fa riflettere, per una volta, sul punto di vista degli orientali sulla vicenda.
Caro Google,
mi auguro che tu abbia considerato attentamente le conseguenze della scelta di lasciare la Cina. Hai deciso che le richieste di censura del governo di Pechino oggi non sono più in linea con una politica aziendale che ha improvvisamente deciso di “non essere tiranna” nei confronti della popolazione cinese. Ma vediamo fino a che punto la scelta di lasciare la Cina sortirà l’effetto sperato…
Personalmente ritengo che la convinzione secondo cui la censura sia dannosa per la popolazione sia infondata. Quello che l’occidente non ha ancora capito è che i leader cinesi non sono cattivi. Sono semplicemente insicuri, e per ragioni condivisibili. Voi vorreste cambiare le cose, ma se Pechino non fosse in grado di tenervi testa come (fortunatamente) fa, noi cinesi staremmo molto peggio.
Sono molto dispiaciuto per chi, come me, si era affezionato a servizi come Google Maps, Google Translate, Google Scholar e tanti altri, visto che ora non potrà più usarli. Per voi è tutta colpa del governo cinese. Per noi no. Avete sbagliato tutto. In tanti anni non avete capito come funzionano le cose in Cina.
Scendere a compromessi con Pechino accettando la censura imposta dal regime non è certo lusinghiero, ma chi conosce la Cina sa che da queste parti senza compromessi non si va da nessuna parte. Tutto questo deve cambiare, è ovvio, ma dateci più tempo per favore!
Non dimenticate che raggiungere un compromesso con Pechino non significa non fare il bene della Cina. La storia lo dimostra: alla fine degli anni ’80, complici le riforme economiche, moltissime aziende straniere si spostarono in Cina. Tutti sappiamo cosa è successo nel giugno del 1989. Dopo gli incidenti di Tian’anmen le aziende occidentali se ne sono andate perché hanno avuto paura della Cina. Quelle di Hong Kong, invece, sono rimaste, scegliendo consapevolmente di non voltare le spalle al regime. Il risultato? Oggi i tycoon dell’ex colonia britannica sono ascoltati a Pechino, e i leader del partito prendono in considerazione le loro opinioni molti di più di quanto, per mancanza di fiducia, facciano con quelle degli occidentali.
La scelta di Google è uno schiaffo che la Cina ha ricevuto davanti agli occhi del mondo intero. I leader orientali sono noti per le loro scelte pragmatiche, ma l’occidente non ha ancora capito che un affronto di questa portata rende inevitabile la necessità di cambiare rotta per salvare la faccia. Addio pragmatismo quindi. Nessuno di voi si rende conto di cosa la Cina sia disposta a fare per “salvarsi la faccia”. Ecco perché le conseguenze delle vostre scelte avventate potrebbero essere controproducenti soprattutto per noi cinesi.
Per Google è troppo tardi per tornare indietro, ma se qualche altro gigante dell’occidente volesse seguire le sue orme e abbandonare la Cina per favore, ci ripensi: per il bene di noi cinesi.
Claudia Astarita
Fonte: Panorama, 26 marzo 2010
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