Harry Wu, una vita per i diritti umani

Harry Wu ha 75 anni e per diciannove è stato detenuto nei Laogai, i campi di lavoro della Repubblica popolare cinese. Senza una formale incriminazione e senza giusto processo è stato segregato, costretto a lavorare fino a sedici ore al giorno e a subire il lavaggio del cervello. Solo per il fatto di appartenere a una famiglia benestante, istruita e cattolica. Tre colpe che il Partito considera sufficienti per privare un individuo della libertà e del proprio futuro. In pochissimi conoscono la storia di Harry in Italia anche se in troppi sono pronti a scommettere che gulag comunisti e campi di concentramento nazisti siano pagine dei libri di storia ormai superate da tempo e archiviate come punto estremo del male assoluto. Ma come un fiume carsico, l’orrore non scompare: al massimo si nasconde e riemerge in superficie, magari a molti chilometri di distanza da noi, assumendo forme diverse e poco conosciute. I Laogai sono appunto una di queste.
Con sguardo impassibile e voce ferma, Harry spiega che cosa sono in occasione del suo recente viaggio Italia, per la Giornata della Libertà, istituita dal parlamento italiano il 9 novembre per ricordare la caduta del Muro di Berlino: «Il termine Laogai è una sigla ricavata dall’espressione cinese laodong gaizo dui che significa “riforma attraverso il lavoro”. Dove per “riforma” si intende il lavaggio del cervello sui cittadini. Ho lavorato in una miniera di carbone e anche in una fattoria. Anche quindici, sedici ore al giorno, quasi fino all’alba, per trenta giorni al mese e dopo ogni “turno” c’erano le sessioni di studio, vale a dire l’indottrinamento politico quotidiano».
Voluti da Mao, i Laogai comprendono tutte le diverse forme di detenzione possibili in Cina. Il loro scopo è quello di fornire un’enorme forza lavoro a costo zero, fondamentale per conquistare i mercati stranieri e per mantenere livelli record di crescita. Spesso mascherati da legittime imprese commerciali, i lavoratori dei “campi” producono di tutto: giocattoli, scarpe, articoli per la casa, mobili, macchinari di ogni genere, articoli tessili e agricoli, computer e componenti elettronici.
Il numero esatto dei Laogai è un segreto di Stato così come il numero dei prigionieri che realizzano in condizioni di schiavitù migliaia di oggetti che acquistiamo e usiamo giornalmente. In Europa, infatti, mancano ancora norme nazionali e comunitarie che impediscano l’importazione di prodotti del lavoro forzato, mentre negli Stati Uniti, grazie alle battaglie della Laogai Research Foundation creata da Harry Wu, esiste già una legge in tal senso. «Molti italiani vanno in Cina ad aprire fabbriche perché lì la manodopera costa meno. Ma non sanno che poi la forza lavoro è organizzata dal Governo che controlla e possiede tutto, terreni e fabbriche incluse. Per questo motivo il governo cinese è ricevuto con tutti gli onori dalla Casa Bianca al contrario del regime castrista».
Nato a Shangai nel 1937, Harry Wu fu arrestato e rinchiuso in un laogai all’età di ventitré anni: «Nel 1957 studiavo geologia e non ero coinvolto in politica. Ma in quel periodo era operativo il movimento dei Cento Fiori che incoraggiava chiunque ad alzare la voce, a protestare contro il regime. Io non avevo molte opinioni in merito, ma mi limitai a dire che il comunismo cinese non rispettava gli individui. E solo per questa opinione sono stato condannato come controrivoluzionario, ed ho perso la mia libertà e il mio futuro. In più mio padre era un banchiere e divenne anche lui un controrivoluzionario. Nel 1960 sono stato arrestato senza incriminazione e senza equo processo e sono stato condannato all’ergastolo, come già era successo a mio fratello. Oggi ritengo fosse una questione di classe sociale e di religione. Io non ero parte dalla classe operaia. Ero considerato un capitalista, quindi nemico del regime che voleva abolire il capitalismo. Il secondo motivo è che ero cattolico: ricordo che dal 1953 in poi i cattolici vennero rinchiusi nei campi o deportati».
Trasferito in dodici diversi campi di lavoro, Wu è stato rilasciato nel 1979, durante la liberalizzazione che seguì la morte di Mao Zedong. Nel 1985 si è trasferito negli Stati Uniti ed è diventato professore di geologia all’università di Berkeley, in California. Nel 1992 ha abbandonato l’insegnamento per dedicarsi esclusivamente all’attivismo e alla denuncia delle violazioni dei diritti umani in Cina. «Negli ultimi trent’anni la Cina ha avuto un enorme sviluppo economico, ma il sistema politico non è cambiato affatto, è rimasto un regime comunista. I diritti umani non esistono e nessun cinese ne ha mai sentito parlare in patria. Io stesso ho conosciuto cosa fossero solo nel 1985, quando sono arrivato negli Stati Uniti. Ho scoperto che le donne non devono essere violentate né costrette ad abortire e che al contrario possono rimare incinte tutte le volte che vogliono; ho scoperto che gli individui sono liberi di scegliere la religione che preferiscono e di parlare quando vogliono. In Cina, invece, l’unico diritto che viene riconosciuto è quello di lavorare».
Ma per quanto Pechino potrà ancora ignorare i diritti umani? «Tanti stranieri oggi sono in Cina e tanti cinesi si sono trasferiti all’estero. Molti di loro viaggiano tra Parigi, Berlino, Londra e Milano e poi tornano in patria per diventare dei leader comunisti, ma il loro cervello è cambiato. Questa è una prima novità significativa insieme a un altro piccolo segnale. Prima tutti parlavano di comunismo, oggi nessuno ne parla più». Lo sguardo di Harry guarda lontano, adesso.

Potete leggere l’intervista sul sito Magzine.it

Giuliana Grimaldi

Fonte: Magzine.it, 23 novembre 2011

Condividi:

Stampa questo articolo Stampa questo articolo
Condizioni di utilizzo - Terms of use
Potete liberamente stampare e far circolare tutti gli articoli pubblicati su LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, ma per favore citate la fonte.
Feel free to copy and share all article on LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, but please quote the source.
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Internazionale.