Hong Kong, i candidati al parlamento “devono giurare fedeltà alla Cina”
A settembre si vota per il rinnovo del Consiglio Legislativo, organo esecutivo dell’ex colonia britannica. A sorpresa il governo, vicino a Pechino, impone un “atto formale di accettazione” di Hong Kong “come parte inalienabile della Cina continentale”. Chi si rifiuta non verrà ammesso. Le proteste dei democratici e il timore delle nuove spinte indipendentiste, guidate dai giovani.
Al momento, i candidati devono accettare di “servire la Basic Law [piccola “costituzione” democratica in vigore fino al 2047] e di “essere fedeli a Hong Kong”. La nuova richiesta implica invece di porre Pechino prima del Territorio, e secondo diversi democratici essa è illegale. Alcuni osservatori fanno notare che si tratta di una mossa in risposta al movimento indipendentista, che negli ultimi mesi ha preso più vigore soprattutto a causa della spinta datagli da diversi gruppi giovanili.
Law Yuk-kai, direttore dell’Hong Kong Human Rights Monitor, definisce l’imposizione “una censura politica” che “infrange la libertà di pensiero”.
Il parlamento di Hong Kong (Legislative Council) è formato da 60 membri. Di questi, 24 sono eletti in modo diretto; 6 da un comitato elettorale governativo; gli altri 30 sono eletti secondo le corporazioni (functional constituencies, Fc), in cui i settori finanziari, del turismo, del commercio, del lavoro, ecc. votano un loro rappresentante.
Da tempo la popolazione protesta per le discrepanze nella rappresentatività fra le basi elettorali: per le elezioni dirette vi sono 3,2 milioni di elettori; per le elezioni delle Fc vi sono solo 200mila elettori, ma per entrambi i settori vi è quasi lo stesso numero di parlamentari eleggibili, e cioè 30. In tal modo un piccolo numero di votanti influenza in modo “sproporzionato” l’assemblea legislativa.
Un’altra discrepanza è che almeno 8 Fc non permettono un voto individuale, ma solo attraverso “organizzazioni”. Per esempio, nel settore dei lavoratori, i voti non vengono dagli individui, ma dai sindacati, che votano i loro rappresentanti. Da tempo la Chiesa cattolica e i movimenti democratici chiedono una riforma dell’intero sistema elettorale, compresa la possibilità di votare in maniera diretta per il capo del governo, ma il veto di Pechino blocca tutto.
Asia News,15/07/2016
English article,Asia News:
Articoli correlati:
Condividi:
Stampa questo articoloCondizioni di utilizzo - Terms of use |
---|
Potete liberamente stampare e far circolare tutti gli articoli pubblicati su LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, ma per favore citate la fonte. |
Feel free to copy and share all article on LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, but please quote the source. |
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Internazionale. |