Hong Kong, schiaffo elettorale contro Pechino. Storica vittoria di studenti democratici e indipendentisti
Gli stessi media di Stato ammettono che filo-democratici e separatisti hanno ottenuto un “successo sorprendente” e che il loro blocco supererà la soglia di un terzo più uno dei seggi parlamentari, necessaria per respingere le riforme imposte da Pechino. A trionfare, grazie a un’affluenza elettorale record superiore al 58% (più 5% rispetto al 2012) i movimenti di giovani e studenti nati dalla “rivoluzione degli ombrelli” dell’autunno di due anni fa e quelli che chiedono un referendum per l’autodeterminazione di Hong Kong, capace di superare il modello “un Paese, due sistemi” concordato tra Cina e Gran Bretagna nel 1997. Tra gli eletti spicca il nome di Nathan Law, 23 anni, che sarà il più giovane deputato nella storia della metropoli finanziaria. Due anni fa restò in piazza 79 giorni per opporsi alla riforma elettorale-truffa imposta dal partito-Stato, che non ha mantenuto la promessa di un autentico suffragio universale nell’ex colonia. Leader del nuovo movimento democratico “Demosisto”, assieme all’altra star studentesca Joshua Wong, a metà agosto era stato condannato a 120 ore di servizi sociali proprio per le manifestazioni del 2014. Ora entra nel palazzo Legco che aveva assediato e potrà incontrare il governatore pro-Pechino, Leung Chun-ying, vero sconfitto nelle urne che vede allontanarsi un secondo mandato di governo, nel voto del marzo 2017.
Oltre ai giovani democratici emersi da Occupy 2014, la grande novità delle elezioni di Hong Kong sono gli indipendentisti, per la prima volta eletti nonostante le esclusioni preventive e le minacce di arresto promosse dall’establishment pro-Pechino. In parlamento entrano almeno due esponenti secessionisti, espressione del partito “Youngspiration”, sempre nato dagli scontri di due anni fa: sono Yau Wai, 25 anni, ma soprattutto Sixtus Leung detto “Baggio” (in onore del suo mito calcistico, l’ex campione italiano), 30 anni, che ha trionfato grazie agli appelli pro-indipendenza. Nei giorni scorsi sei candidati del suo partito, che si erano rifiutati di firmare una dichiarazione di fedeltà alla Cina, erano stati esclusi dal voto e le autorità pro-Pechino nelle ultime ore hanno ripetuto che “promuovere la secessione di Hong Kong è un reato che sarà perseguito dalla legge”.
L’affermazione elettorale dei giovani reduci da Occupy 2014, dei democratici e dei “localisti” assume dunque un significato chiaro per il partito comunista cinese: l’ex colonia, riacquisita nel 1997 e dotata di un regime speciale fino al 2047, non ha alcuna intenzione di essere politicamente normalizzata come il resto della Cina continentale e una nuova generazione di hongkonghesi filo-occidentali, con il sostegno popolare, è pronta a lottare per mantenere i valori democratici. Da confermare, nelle prossime ore, i risultati finali del voto: sui 70 seggi del Consiglio legislativo, solo 35 vengono assegnati tramite il voto e per bloccare le riforme costituzionali ne occorrono 24. Una soglia (a garanzia del potere cinese) che democratici e indipendentisti sembrano ormai aver superato: opponendosi alla morsa sempre più autoritaria che da mesi Pechino, temendo che Hong Kong si trasformi politicamente in un “nuovo Tibet”, ha esercitato sulla sua ribelle capitale finanziaria.
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