Il nuovo maoismo che soffoca la Chiesa e la Cina
L’ordinazione episcopale di Changsha oggi dimostra che in Cina è tuttora vivo il maoismo. Da oltre un mese i giornali cinesi e esteri sono pieni delle storie sul siluramento di Bo Xilai, l’ex segretario del Partito comunista di Chongqing, famoso per il suo revival maoista, fatto di canti e letture del Grande Timoniere, di una spregiudicata campagna contro le triadi, e una altrettanto spregiudicata corruzione. La caduta del “dio-principino” Bo, insieme a quella di sua moglie - sospettata perfino di assassinio - è stata immediata: non appena Wen Jiabao ha messo in guardia dal ritorno del maoismo e di una nuova Rivoluzione culturale, Bo Xilai è stato sostituito e incriminato. Nella stessa occasione, Wen Jiabao ha promesso profonde riforme politiche ed economiche per il Paese e in molti hanno sperato che - con la stessa prontezza con cui Bo è stato eliminato - vi sarebbero state nuove libertà. Invece un maoismo sottile, ma ugualmente totalitario, continua ad essere presente nella società cinese: nei media, nell’economia, nelle religioni. Riferendosi al campo delle religioni, alcune personalità cinesi puntano il dito su Zhu Weiqun, vicepresidente del Fronte Unito, famoso per una sua arringa contro le religioni e contro le conversioni religiose dei membri del Partito. Zhu ha un curriculum molto simile a quello di Bo Xilai: con lui ha studiato legge; come lui è figlio di grandi del partito; come lui sostiene una ripresa del maoismo. Grazie alla sua politica nel Fronte Unito, che domina anche l’amministrazione statale per gli affari religiosi, le comunità religiose subiscono controlli senza fine, allo stesso modo delle comunità sotterranee, destinate a essere cancellate, dopo un processo di “lavaggio del cervello”. Ormai da mesi gruppi di sacerdoti e vescovi della Chiesa sotterranea vengono presi, isolati e sottomessi a sessioni politiche per far comprendere loro la bontà della politica religiosa del Partito. Il maoismo di questa politica è evidente anche nelle ordinazioni episcopali: ogni nuovo vescovo deve essere anzitutto strumento del Partito e poi funzionario della Chiesa cattolica. In tal modo, ogni ordinazione episcopale si trasforma in investitura politica, dando ai vescovi incarichi , stipendi, titoli onorifici, e rendendoli quasi gli ufficiali di basso rango del governo cinese. Per questo essi devono anche essere scelti in funzione del Partito e non per la cura pastorale della popolazione e secondo il papa. È avvenuto così per le ordinazioni dello scorso anno a Leshan e Shantou, con candidati scelti dal governo e senza mandato papale. E se anche vi sono candidati voluto dal pontefice, il Partito costringe i neo-eletti a subire la presenza di vescovi illeciti e scomunicati, come è avvenuto lo scorso 19 marzo a Nanchong e oggi a Changsha. I due candidati sono degli ottimi pastori, ma è stato il governo a scegliere chi deve consacrare e chi deve essere invitato. Ormai è chiaro che chi stabilisce la “patente” di ortodossia e di ecclesialità è il Partito e non il papa. Questo cesaro-papismo cinese è tanto ottuso, quanto pericoloso per la Chiesa e la Cina. L’immischiarsi del Partito su riti e ordinazioni, su candidati e vescovi ordinanti è segno di piccolezza di cervello nei quadri del Partito, legati a schemi vecchissimi, superati dalla storia. La seconda economia mondiale, che si prepara ad andare sulla luna, ragiona ancora come le monarchie assolutiste occidentali del ‘600. Le ordinazioni episcopali “inquinate” dalla presenza di vescovi illegittimi rendono più difficile il lavoro della Chiesa e scombussolano i fedeli, minando l’unità fra le comunità. Ma anche producono risentimento verso uno Stato-padrone e totalitario, accrescendo le resistenze e anche le possibilità di rivolte. Nei mesi scorsi, in occasione di sequestri di vescovi per farli partecipare a ordinazioni illecite vi sono state comunità che si sono ribellate schierandosi contro la polizia (Shenyang) e manifestando nelle città (Wanzhou). E tutto questo proprio mentre il presidente Hu Jintao lancia il suo canto del cigno sulla “società armoniosa”. Per quest’anno il Partito ha in programma ancora 5 o 6 ordinazioni episcopali illecite. Non varrebbe la pena che Pechino lasci che il papa faccia il papa e il governo cinese faccia il governo, lasciando libertà sugli aspetti religiosi? In questo modo potrebbe guadagnare la fiducia dei fedeli e la simpatia delle comunità cristiane del mondo. E anche la comunità internazionale e del business tirerebbe il fiato: perché dove non c’è rispetto per la libertà religiosa, anche le altre libertà - come quella economica - sono minate.
Fonte: Asia News, 26 aprile 2012
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