Intervista a Tienchi Liao e resoconto del convegno “Lavoro e globalizzazione: i diritti umani in Cina e Tibet”

Si è svolta con un bel successo di pubblico, arrivato alla spicciolata nella Sala del Carroccio a causa di una manifestazione che ne ha rallentato gli accessi in Campidoglio, la conferenza “Lavoro e globalizzazione: i diritti umani in Cina e Tibet”. Come Memento Naturae siamo stati invitati a partecipare ed abbiamo anche avuto l’onore e il privilegio di intervistare, poco prima dell’inizio del convegno, Tienchi Martin Liao, Presidente dell’Indipendent Chinese PEN Centre, che ringraziamo sentitamente per questa disponibilità in cui ci ha testimoniato delle persecuzioni agli stessi cinesi, come i Falun Gong, nonché della distruzione ambientale impressionante sia in Tibet che in Cina, dove non si può riesce più a vedere il cielo blu. Riteniamo il convegno molto importante per fornire dati utili e poco noti sulla reale situazione che si sta vivendo oggi in Cina a 23 anni da Tien An Men; episodio questo, molto significativo, che nel 2009, insieme alla Laogai Research Foundation Italia, abbiamo commemorato con un convegno a tema, ribadendo che il popolo cinese è vittima quanto quello tibetano di un regime capital-comunista figlio del Dio Profitto. Dopo una piccola introduzione di Toni Brandi, che ha ricordato bene come gli oltre 1000 Lao-Gai, campi di concentramento e di rieducazione del pensiero, siano stati creati a scopo di profitto, perché non mirano solo ad essere enti carcerari, ma aspirano a diventare vere e proprie aziende multinazionali che, conniventi con l’Occidente, creino prodotti e concorrenza sleale agli Stati, la parola è andata al giornalista RAI Aldo Forbice, persona da anni impegnata, anche attraverso le sue trasmissioni, a denunciare in maniera forte i diritti violati in tutte le parti del mondo, che ha ammesso in tutta onestà intellettuale, come di questa realtà i media nostrani risultino piuttosto imbarazzati e molto restii a violare l’immunità di questo arrogante colosso giallo. Poi è stata la volta di Tienchi Martin Liao che ha subito ricordato come il silenzio è oggi il peggior crimine che si sta perpetrando, perché la Cina è potente e tutti hanno paura della sua forza; ma pochi sanno che la stragrande maggioranza del popolo cinese è povera e che solo la minoranza governativa del Partito al potere è ricchissima e controlla tutta la produzione del paese oltre a detenere il debito pubblico degli Usa; pochi sanno che 600 milioni di contadini non hanno la benché minima assistenza medica o di altro genere; pochi sanno che 2/3 utilizzano acqua contaminata e mangiano cibo e latte ormai completamente avvelenato per la chimica dei suoli; pochi ancora sanno che all’anno ci sono circa 100 mila rivolte popolari tra cinesi, tibetani, uiguri, mongoli ecc. Nonostante questo Tienchi, dopo aver consigliato un tentativo difficile, se non al momento impossibile, di istituire un consolato occidentale a Lhasa, ha fatto sapere di credere con ottimismo che la situazione in Cina, stia profondamente mutando e che nel giro di due o tre anni potrebbero esserci cambiamenti radicali nonostante i tentativi oscurantisti e di censura attuati dal Partito stesso. Il vulcano cinese prima o poi potrebbe quindi implodere. È stata poi la volta di Claudio Cardelli, responsabile dell’ associazione Italia Tibet che opera da oltre 25 anni e che ha affascinato la platea ricordando come il Dalai Lama possa essere una possibile reincarnazione dell’austero e severo Marpa, il celebre maestro di Milarepa, che sembrava impartire “punizioni” quando erano piuttosto insegnamenti al discepolo per trovare la sua Via. Mentre infondeva poeticamente questi e altri pensieri, il Cardelli faceva partire un dvd estremamente toccante, dove si alternavano immagini rarissime in bianco e nero a quelle classiche di repertorio a colori, che iniziavano a raccontare ai presenti, cosa è veramente successo in Tibet dalla sua invasione nel 1959. Prima i terribili anni della rivoluzione culturale, che hanno cancellato praticamente tutto il patrimonio di questa antichissima tradizione e che hanno cercato invano di dipingere all’estero i cinesi come dei “liberatori”: difficile, visto che il Tibet era in realtà ben libero dal 1913 e Mao invece non fece altro che liberarlo della sua libertà. Altro fatto interessante e poco noto, avvenne intorno agli anni ottanta, quando dai filmati in bianco e nero si passa a quelli a colore; infatti è proprio il colore, quello dei soldi, a far pensare a Den Xiaoping, l’uomo che segna un passaggio epocale, trasformando il vecchio partito comunista cinese in nuova imprenditorialità capitalista, l’ autore della frase “arricchirsi è glorioso”, come il Tibet possa diventare la mucca da poter mungere per far dissetare il turismo di massa internazionale. Non è un caso quindi che da sempre nella sua storia, il Tibet sia sempre stato più vicino all’India, che alla Cina. Quando con l’esilio del Dalai Lama a Dharamsala i profughi tibetani furono accolti nel continente del sacro sanscrito, furono da subito impiegati nella costruzione di strade, diventando così elementi indispensabili per queste realizzazioni. Non solo, su invito sempre del Dalai Lama, furono loro stessi a costruire le prime scuole tibetane per mantenere le nobili radici ancora in piedi per questa cultura straordinaria. Viceversa in Cina la lingua tibetana è quasi estinta e continuano le immolazioni dei monaci (ad oggi 38) e proprio nell’ultima avvenuta pochi giorni fa a Lhasa tutte le persone presenti in piazza con telefonini o videocamere, sono state arrestate per impedire la diffusione ai media, che indispettisce non poco l’arrogante Dragone. Lukar Sham, Presidente dell’Associazione dei Prigionieri Politici Tibetani, tradotto nel suo tibetano dall’instancabile Dechen Dolkar sempre in prima linea per la causa, ha raccontato la sua storia di prigioniero gravemente malato riuscito a fuggire e a rifugiarsi poi in India, spiegando come gli oltre 1500 detenuti politici non diminuiscano ma anzi aumentino. Fa molto riflettere la minuziosa descrizione di come il regime si sbarazzi dei personaggi scomodi, incappucciandoli e internandoli senza alcun tipo di processo. Mentre diceva questo, una notizia Ansa raggelava la sala: Pechino ha chiuso il Tibet ai turisti, perché le troppe eclatanti immolazioni dei fedeli “mascalzoni” della “spia” Dalai Lama, gli stanno arrecando un grave danno di immagine all’estero. Poi è stata la politica a prendere la parola con il consigliere comunale Ugo Cassone, colui che ha permesso la realizzazione di questo convegno e che dopo aver portato i saluti del Campidoglio, ha ricordato con orgoglio non solo il suo impegno alla causa tibetana ormai da diversi anni, ma anche gli importantissimi successi ottenuti, come l’invito a Roma nell’Aula Giulio Cesare del Dalai Lama. A seguire è intervenuto il consigliere municipale Augusto Caratelli, ideatore di Pactum, progetto di ricostruzione storica della romanità, nonché eroico difensore del quartiere Esquilino e del Centro Storico, dall’invasione, giorno per giorno, di mercati abusivi e di negozi cinesi; dopo aver affermato con fierezza che la Chinatown a Roma non è ancora nata, ha portato esempi su come combattere l’illegalità diffusa che regna in quei contesti ma soprattutto ha sottolineato con grande scaltrezza come i guai per i popoli siano iniziati dall’ingresso nel WTO di un paese che non aveva rispetto di niente e che non dava alcun tipo di garanzia. Dopo le istituzioni anche Marina Burns e Maria Vittoria Cattania ci hanno informato di notizie che vale giustamente ricordare: la prima sul mistero del passaporto cinese che, stranamente a differenza degli altri, può entrare liberamente in uno Stato senza bisogno di traduzione in lingua inglese e di conseguenza incomprensibile; la seconda rilevando come un popolo che in origine aveva 450 etnie diverse e dopo il suo insediamento si è ridotto ad averne appena 50, oggi stia contribuendo alla scomparsa della bio-diversità attraverso varie forme, come quella dello sterminio dei pesci ghiaccio, rarissimi e proibiti a tutti ma non ai cinesi che ne vanno ghiotti, o quella da noi ricordata, della pratica del finning, la caccia selvaggia alle pinne (solo alle pinne) degli squali, che stanno comportando un pericolo serio per la fauna degli ecosistemi marini, ma sono accettate perché sono una prelibatezza in Oriente molto ben retribuita. Ultimo momento conclusivo è stato il saluto dei monaci tibetani presenti in abiti tradizionali, che dopo il mantra della pace ad inizio conferenza, anche alla fine hanno tenuto a ringraziare gli organizzatori del convegno, attraverso la voce del loro più autorevole rappresentante Dorjee Chang Rimpoche. Il ringraziamento di un popolo che ancora riesce a credere, nonostante tutto, in qualcuno di noi, fa sicuramente ben sperare per i tempi che verranno.

Clicca qui per ascoltare l’intervista a Tienchi Martin Liao (in lingua inglese)

Clicca qui per il resoconto del convegno tenutosi il 3 giugno 2009 per celebrare l’anniversario del massacro di Piazza Tiananmen.

Clicca qui per ascoltare gli inteventi del convegno del 3 giugno 2009.

Fonte: Memento Naturae, 7 giugno 2012

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