Invece di straparlare dell’ “islamofobia” dell’Occidente, guardate come la Cina comunista tratta gli uiguri

L’ultima trovata di Pechino per la “repressione dell’estremismo”? Una gara al disegno più violento contro l’entia musulmana che abita nello Xinjiang.

Criticarli, scacciarli come ratti, farli letteralmente a pezzi. È questa l’immagine che il partito comunista cinese ha voluto far passare, premiando a un concorso popolare di pittura i dipinti murali contro gli estremisti religiosi islamici.

Peccato che Pechino, nel suo tentativo di reprimere l’estremismo (che ogni giorno alimenta con le sue politiche), non faccia troppe differenze tra i cosiddetti “separatisti”, i musulmani e l’etnia uigura in generale.

ISLAMOFOBIA. Si fa presto a gridare all’islamofobia in Occidente, dove tutto ciò che fuoriesce dall’accettazione totale della religione di Maometto viene subito identificato con un rifiuto tout court dell’islam, una critica a ogni suo aderente è una presa di posizione razzista e xenofoba. Ma per capire davvero che cosa sia l’islamofobia, bisogna guardare a Oriente, soprattutto al modo in cui la Cina comunista tratta gli uiguri.

ETNIA UIGURA. L’etnia uigura è composta da nove milioni di persone turcofone, in prevalenza di religione musulmana, che vivono nella turbolenta provincia settentrionale dello Xinjiang. Nonostante il partito comunista riconosca sulla carta a questa etnia libertà religiosa e autonomia rispetto al governo centrale, nei fatti mette in atto da anni una durissima repressione, che ha anche portato all’esasperazione le frange più estreme.

REPRESSIONE COMUNISTA. Come accaduto per il Tibet, Pechino ha inviato nella regione 1,2 milioni di cinesi di etnia han perché l’etnia uigura scomparisse o perlomeno diventasse minoritaria. Ha poi imposto pesanti restrizioni alla libertà religiosa, alla pratica musulmana, all’insegnamento della lingua e della cultura locale, alla libertà di associazione ed espressione. Un documento ufficiale, ad esempio, proibisce ai genitori musulmani di «far partecipare i minori ad attività religiose». Studiare testi religiosi fuori dalle istituzioni statali è proibito e nelle imprese pubbliche i musulmani durante il Ramadan sono costretti a mangiare. La lingua uigura non viene più insegnata nelle scuole perché «primitiva e inadatta allo sviluppo scientifico della Cina».

ESECUZIONI DI MASSA ALLO STADIO. Pechino giustifica queste misure citando le rivolte del 2009, quando davanti alle proteste della popolazione per la repressione comunista la polizia uccise a sangue freddo circa 200 persone. Agli uiguri è stato attribuito l’attentato alla stazione ferroviaria di Kunming, dove sono state uccise 29 persone, e l’esplosione di un suv in piazza Tienanmen, che ha fatto altre tre vittime.

Per questo ultimo attacco, è stato condannato all’ergastolo anche il professore universitario Ilham Tohti, che ha sempre negato ogni implicazione, e sono stati rinviati a processo sette suoi studenti universitari.

Inoltre, per scoraggiare ogni tipo di protesta, il partito comunista è tornato a realizzare esecuzioni di massa per crimini comuni allo stadio davanti a migliaia di spettatori uiguri (costretti a partecipare). Per l’occasione, ha dichiarato il vicesegretario locale del partito comunista Li Minghui: «Gli estremisti religiosi e i separatisti saranno presto impopolari come i ratti che attraversano la strada».

GARA DI DIPINTI. La verità è che Pechino, oltre ad aver fomentato la violenza con la sua repressione, come in Tibet, condanna di fatto l’intera etnia uigura e la religione islamica in generale, che può essere praticata solamente sotto il rigido controllo statale. Lo dimostrano le immagini della gara di pittura intitolata “Andare verso gli estremi”.

Nei dipinti premiati, si può vedere un’ascia con il simbolo del partito comunista che si abbatte sui separatisti e su uomini con il classico copricapo islamico. In un altro, si vede la popolazione che caccia via i ratti estremisti.

In un terzo dipinto, infine, un bambino uiguro piange perché i suoi genitori musulmani, che si sono fatti radicalizzare dagli imam con dei video (una delle accuse più ricorrenti del partito comunista), hanno compiuto attentati terroristici e l’hanno lasciato solo.

L’islamofobia fomentata da Pechino, che contiene una buona dose di razzismo e autoritarismo, sarebbe facilmente condannabile sotto tutti i punti di vista. Ma davanti alla Cina i paladini del politicamente corretto non alzano mai la voce.

di Leoni Grotti,Tempi.it, 14/01/2015

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