Italia-Cina: Draghi cerca di uscire dalla trappola della Via della Seta

Un accordo politico spacciato per commerciale. Ma l’exit strategy è tosta e ci sono alcuni pericoli. Per esempio, le ritorsioni della Cina.

 

 

Alla fine del G7, il presidente del Consiglio si trova in una posizione molto scomoda: vorrebbe uscire dall’intesa politica firmata da Di Maio nel 2019 ma non può, perché i rischi sono troppo alti. Meglio allora depotenziarla a ogni occasione pubblica. Parla Rebecca Arcesati, analista Merics.

Alla fine del G7 che si è appena concluso in Cornovaglia, a una domanda diretta di un giornalista, Mario Draghi ha detto che il presidente americano Joe Biden non ha mai menzionato l’intesa sulla Via della Seta con la Cina, quella firmata nel marzo del 2019 da Luigi Di Maio, allora ministro dello Sviluppo economico del governo gialloverde.

Draghi però ha poi aggiunto che “per quanto riguarda l’atto specifico, lo esamineremo con attenzione”. La scelta delle parole da parte del presidente del Consiglio è importante: esaminare con attenzione, infatti, vuol dire che quel testo non ci piace, ma non possiamo fare altro.

Quell’intesa non era un trattato commerciale vincolante, dal quale ci si può tirare indietro, né un documento impegnativo. Era un’intesa politica spacciata per commerciale, un enorme spot alla propaganda di Pechino che infatti continua a considerare un paese alleato e amico l’Italia, primo paese del G7 a entrare nello strategico progetto globale di Pechino.

Il fatto che non fosse un trattato vincolante, però, non significa che non sia problematico, anzi: i possibili costi di una dichiarazione di “uscita” dalla Via della Seta, oggi, sono molto superiori al rimanerci dentro, pur cercando – come sta facendo Draghi – di depotenziare l’intesa stessa in ogni occasione pubblica.

Fonte: Il Foglio,14/06/2021

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