Italiani “non graditi” nei negozi cinesi. Posti di lavoro off limits a Genova

Genova - «Buongiorno, sto cercando lavoro. Posso lasciarvi il mio curriculum?». Da dietro il bancone la ragazza con gli occhi a mandorla e i capelli neri lisci come uno spaghetto annuisce. «Dammelo pure». E infila il foglio bianco piegato in tre in un cassetto. Sampierdarena, a due passi dalla stazione Via di Francia. Il super store Made in China si trova al piano terra di un palazzo basso che ospita anche altri uffici.
È uno dei più conosciuti in città. E pure uno dei più grandi. «Lì dentro c’è da perdersi» dicono. È così. È un mondo: magliette stampate a fiori a pochi euro,camicie in mille fantasie impilate l’una sull’altra, uno scaffale pieno di custodie per ogni tipo di cellulare, fiori finti, piccoli elettrodomestici, prodotti per animali. Persino le casse sono uguali a quelle di un supermercato. Dando un’occhiata veloce, tra gli addetti si intravedono solo cinesi. «Ma prendete anche italiani?» chiedo per cercare di saperne di più. «È il capo che decide» risponde senza lasciare spazio ad altre domande.
Ma è la dura legge della statistica a dire che non ci sono chance: commessi e cassieri sono tutti cinesi. Non basta esperienza e capacità, essere rapidi e precisi, avere modi gentili e saper conquistare i clienti. Talvolta è soltanto una questione di etnia: se non sei cinese per te non c’è posto. Vale dappertutto, non solo in questo grande megastore: basta fare un giro in città con un curriculum più o meno realistico e una storia vagamente credibile da raccontare.
A Genova gli esercizi commerciali gestiti da cittadini originari del Paese della Grande muraglia sono oltre trecento: piccoli negozi, bazar come questo che vendono di tutto, centri estetici, parrucchieri. Numeri alti. E così per chi cerca lavoro come commessa o apprendista diventa quasi d’obbligo giocarsi una carta “dai cinesi”. Certo, che qualcuno vi sbatta la porta in faccia per il semplice fatto di essere italiani è un rischio elevato. Bisogna metterlo in conto: è una sorta di “razzismo al contrario” a cui trovare una soluzione è praticamente impossibile.
Succede al Lagaccio, una delle zone popolari della città. Dagli altoparlanti del bazar di via Bari esce una canzone italiana. Forse l’unica cosa che non è Made in China qui dentro. Sabato alle due di pomeriggio, con fuori un bel sole caldo, tra questi scaffali girano in pochi: una signora con una cane, mamma e figlia che fanno shopping a poco prezzo e un signore che da’ uno sguardo al reparto cancelleria.
E poi c’è lei: una cassiera minuta minuta, con gli occhiali spessi e che smanetta con il cellulare in attesa dei clienti.
La mia domanda è sempre la stessa, il foglio bianco, anche. È la risposta che cambia: «No, non siamo interessati» dice la ragazza un po’ in italiano e un po’ a gesti. Sorride e abbassa la testa, in imbarazzo. Provo a insistere: «Vorrei lavorare qui. È possibile?». Dall’altra parte solo una scossa di capo: negativo. «Ma perché?». «Prendiamo solo cinesi, ci dispiace.
Il Secolo XIX di Genova,09/09/2014
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