La Cina e i diritti degli animali: il tira e molla di Pechino
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In Cina, nonostante il crescente aumento della repressione del dissenso, il movimento in difesa dei diritti degli animali è uno dei pochi che può dirsi in crescita, sia in termini di attivismo che di coscienza collettiva.
Quando pensiamo al consumo di carne e ai diritti degli animali in Cina immediatamente ci vengono in mente ristoranti che servono carne di cane o la secolare festa annuale di Zhejian - bandita nel 2011 - o la grande festa popolare di Yulin, creata per attrarre turisti nel 2010. Ma in realtà la questione dei diritti degli animali è ben più complessa: nel 2014 un gruppo di attivisti è riuscito a intercettare 18 camion carichi di cani diretti al macello di Yulin lungo una strada nel nord della Cina, salvando 8.000 animali dalla morte e nel 2015 un intervento simile ne ha salvati altri 5.000 ma si tratta di una goccia nel mare. Secondo Foreign Affairs ogni anno quasi 10 milioni di cani vengono macellati per essere mangiati e il 70 per cento di questi si ritiene provenire dai furti di animali domestici.
Ma il cane non è l’unico animale nel mirino delle campagne animaliste degli attivisti cinesi: la bile d’orso ad esempio - utilizzata per la cosmesi e la medicina tradizionale - è un mercato che vale 1,6 miliardi di dollari, così come enorme è il mercato del bestiame. La Cina ha prodotto solo nel 2013 80 milioni di tonnellate di carne bovina ma è stata priva di un protocollo di macellazione fino al 2007 e ancora oggi si utilizzano le tecniche più svariate ed atroci per la soppressione dei bovini, dei suini e di tutte le bestie uccise a scopo alimentare.
Un altro problema ancora riguarda le condizioni di vita in cattività degli animali, come negli zoo o negli allevamenti: gli orsi utilizzati per produrre la bile vengono tenuti in spazi ristretti e utilizzati esclusivamente per la produzione e l’estrazione della bile, tigri e leoni negli zoo vengono affamati per aumentarne la brutalità durante i pasti e far felici i visitatori.
La crescente attenzione sul paese, il pubblico sempre più internazionale che visita gli zoo di Pechino e Shanghai e le pressioni sempre più forti provenienti da tutto il mondo in materia di diritti degli animali sta lentamente persuadendo le autorità cinesi a disincentivare le atrocità sugli animali, ma la strada da percorrere sembra essere ancora molto lunga, al netto del fatto che i cinesi non amano molto le interferenze esterne sui fatti interni. Nonostante l’atteggiamento moderno la tradizione confuciana, taosita e buddista della Cina vanta una lunga storia di tutela degli animali. È stato durante la carestia tra il 1959 e il 1961, che ha provocato diverse decine di milioni di morti, e la contemporanea politica rivoluzionaria maoista che i cinesi hanno radicalmente modificato il proprio rapporto con gli animali: nessun animale fu risparmiato dal consumo alimentare per necessità.
Il benessere degli animali cominciò ad essere considerato un “sentimentalismo borghese” e parole come “protezione” o “amore” per gli animali scomparvero dal lessico cinese. Nel 1979 Xi Jinping impresse alla Cina la prima accelerazione sotto il profilo alimentare, puntando sullo sviluppo e la sicurezza alimentare ma i modelli agricoli e di macellazione implementati erano disumani: condizioni di lavoro proibitive, brutalità continua e crudeltà diffusa che, mentre il Paese si apriva al mondo esterno, altrove incentivarono numerosi movimenti animalisti e ambientalisti a strutturarsi. Nel 1992 nacque la Cina Small Animal Protection Association (CSAPA), la prima associazione ambientalista cinese a promuovere la fine della crudeltà verso gli animali, per educare i cinesi sul maltrattamento degli animali e modificare le leggi che all’epoca proibivano il possesso di un animale domestico perché considerato “antisocialista”. Oggi su 130 milioni di cani in tutta la Cina quasi 30 sono tenuti come animali domestici e in generale la società cinese e le autorità si dimostrano più tolleranti e persino sensibili in materia di diritti degli animali.
In realtà secondo gli esperti le autorità cinesi stanno rendendosi conto che la sicurezza alimentare passa anche attraverso le condizioni di vita degli animali e il loro benessere. Il problema, oggi, sembra essere diventato l’opposto: molte associazioni animaliste cinesi come la Capital Animal Welfare Association (CAWA) di Pechino, una ONG fondata nel 2000, si battono oggi per fermare il commercio, ad esempio, di carne di foca proveniente dal Canada, i cui esportatori sono accusati di scaricare sul mercato cinese ciò che l’Europa ha bandito nel 2009.
Certo, la vita e i margini di azione delle ONG animaliste cinesi non sono certo ampissimi: le regole burocratiche rendono difficile per molte organizzazioni registrarsi presso il governo e i risultati raggiunti sin qui sono il frutto di un lavoro di collaborazione e coalizione tra gruppi diversi. Anche perché i diritti degli animali non sono certo considerati una minaccia per la stabilirà politica della Cina, come invece lo sono i diritti umani, quelli del lavoro o il problema del Tibet e dello Xinjiang.
Ma a piccoli passi Pechino sta concedendo sempre di più alle battaglie animaliste, valutando attentamente quanto una scelta incida sull’economia e sui rapporti bilaterali con i paesi esteri.
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