La Cina? Siamo noi….Le donne italiane non contano niente

La classifica delle donne più ricche al mondo stupisce per il dato che riporta e per gli spunti di riflessione che offre. Tra le prime venti imprenditrici in gonnella abbiamo ben undici signore provenienti dalla Cina. Tre di loro si dividono addirittura il podio. In testa si piazza Zhang Yin (nella foto), la proprietaria della società di riciclaggio della carta Nine Dragons Paper con un patrimonio personale di 5,6 miliardi di dollari, seguita da Wu Yajun, 46enne proprietaria della Longfor Property con un capitale personale di 4,1 miliardi, e Chen Lihua del conglomerato di Hong Kong Fuhua International con una fortuna di 4 miliardi di dollari. Tra le prime venti abbiamo una sola italiana, Giuliana Benetton, classificatasi undicesima con una fortuna di 2 miliardi di dollari. I dati sono stati raccolti dalla rivista specializzata Hurun, il Forbes cinese. Ma al di là dei freddi numeri che considerazioni si possono trarre da questa classifica? Innanzitutto sorprende il fatto che più della metà delle donne in graduatoria arrivi da un paese come la Cina, comunista per definizione ma capitalista per scelta e alla luce dei fatti. I nuovi ricchi del grande Paese orientale hanno allargato sempre più la forbice che li distacca dalla stragrande maggioranza della popolazione che vive in condizioni di precarietà economica o, facendo riferimento alle province più agricole, di arretratezza tecnologica e culturale. In mezzo ai nuovi tycoon si è formato, e adesso occupa sempre più spazio, questo gruppo di donne imprenditrici che, più dei loro colleghi uomini, ha dovuto lottare con le unghie e con i denti per arrivare a primeggiare. Non bisogna, infatti, dimenticare le condizioni ambientali nelle quali le donne si sono trovate a sopravvivere. Sì, sopravvivere, perché, soprattutto nella Cina rurale permane ancora la triste usanza di uccidere le bambine appena nate a causa di una pianificazione politica centrale che ha sempre privilegiato i nuovi nascituri di sesso maschile a fronte di quelli di sesso femminile. Questo ha creato forti squilibri da un punto di vista demografico con ripercussioni che si notano ancora oggi. Adesso le cose, da un punto di vista politico, cominciano lentamente a cambiare. Ma il segno di anni e anni di questa propaganda è difficile da cancellare. All’interno della famiglia le donne sono sempre state sottomesse agli uomini. Considerate alla stregua di colf e sottoposte a discriminazioni che portavano a pratiche come quella della vendita di mogli o figlie. Ma nonostante questi precedenti il mondo dell’economia ha dato la possibilità alle più capaci di riuscire nel loro mestiere di imprenditrici, considerandole allo stesso livello degli uomini. E in Cina non esiste un Ministero per le Pari Opportunità. Dicastero che invece è ben presente in Italia, rappresentato da Mara Carfagna. Nel nostro paese la situazione è diametralmente opposta, nonostante si parli di parità dei sessi e di uguale dignità della donna di fronte all’uomo. Sotto queste belle parole la realtà vede un numero di donne al vertice sempre troppo basso. In Italia, in base ai dati di una ricerca di ManagerItalia, le donne imprenditrici sono il 23,4 per cento a fronte di una media europea superiore al 33 per cento. Se poi osserviamo il dato delle donne presenti nei Consigli d’amministrazione delle società, ovvero nel cuore pulsante delle aziende, questo scende al 3,2 per cento del totale, una cifra veramente irrisoria. Nel resto dell’Ue c’è una media dell’11 per cento con vette che si arrivano a toccare nei paesi scandinavi, dove la Norvegia primeggia con un ottimo 42 per cento. Parità dei sessi nei fatti, non a parole. Propositi che vengono recitati ad ogni occasione nel nostro Paese ma che non vengono poi trasformati in realtà quando si tratta di metterli in pratica. Con buona pace del progresso nazionale che vede più della metà dei laureati di sesso femminile. Un ulteriore dato italiano che colpisce è quello relativo alle donne imprenditrici per macroregioni. Ebbene, queste ultime vedono il Sud predominante rispetto al Nord Italia. Addirittura il Nord Est, quello che molti considerano come il motore industriale ed economico del Paese viene relegato in ultima posizione. In Sicilia, per fare un esempio, abbiamo molte più donne imprenditrici rispetto a regioni come Piemonte, Veneto e Lombardia. Il dato, però, non tiene conto di una consuetudine che molto spesso si verifica nel Meridione: molte di queste donne che risultano imprenditrici sono delle prestanome in favore di uomini che hanno avuto problemi di varia natura con le istituzioni. Ancora una volta piegate a un volere maschile che non tiene conto delle legittime ambizioni e si prende gioco di ogni discorso sulla parità dei sessi. Sembra proprio indispensabile, a questo punto, volgere lo sguardo a oriente e chiedersi perché tutto questo non si riesce a realizzare in uno dei paesi più industrializzati dell’Occidente (presumibilmente ritenuto) avanzato. Ma soprattutto bisogna trovare soluzioni vere che permettano anche alle donne di emergere per le loro capacità. Che sono tante e, purtroppo, molto sottovalutate.

Fonte: Sicilia informazioni, 14 ottobre 2010

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