La Cina tenta di salvare l’economia del Mekong con precipitazioni artificiali

Abbiamo già parlato delle conseguenze delle numerose dighe idroelettriche costruite dai cinesi nella porzione iniziale del fiume Mekong. In alcuni punti del suo corso l’arteria fluviale del Sud-est asiatico ha raggiunto il suo minimo storico degli ultimi vent’anni. La Cina ha sempre negato ogni coinvolgimento nel disastro ecologico del Mekong, tuttavia, complice la necessità di autare i milioni di cinesi che vivono nelle regioni al confine con il Sud-est asiatico, negli ultimi giorni Pechino ha deciso di intervenire in maniera massiccia per eliminare le conseguenze della siccità.

Del resto, persino l’agenzia di stampa cinese ha ammesso che milioni di cinesi nello Yunnan, del Guangxi e del Guizhou soffrono le conseguenze economiche del progressivo prosciugamento del Mekong e dei suoi affluenti, e almeno otto milioni di persone, a causa dell’assenza di pioggia e di temperature molto più elevate della media, fanno sempre più fatica ad approvvigionarsi anche di cibo e acqua potabile. La piovosità della regione si è ridotta del 50%, migliaia di scuole sono state chiuse, e questa primavera solo in Cina circa cinque milioni di ettari di colture non saranno più in grado di produrre.

Nella Cina meridionale Pechino ha inviato finanziamenti economici insieme a migliaia di soldati per aiutare la popolazione in difficoltà, e ha programmato una serie di “inseminazioni di nuvole“, alterando con ioduro di argento o biossido di carbonio congelato i processi microfisici all’interno delle nubi in maniera da poter controllare quantità e frequenza delle precipitazioni. La stessa tecnica è stata usata dai cinesi durante le Olimpiadi di Pechino per evitare la pioggia durante la cerimonia di apertura dei Giochi, ma anche dagli americani durante la guerra del Vietnam per prolungare la stagione monsonica.

Le piogge artificiali di Pechino potranno, nella migliore delle ipotesi, permettere all’esercito di scavare un migliaio di pozzi d’acqua per aumentare le risorse idriche di un milione di residenti dello Yunnan (regione che conta circa 61 milioni di abitanti). Una goccia nel mare in Cina, ancora meno se si tiene presente che nei paesi del Sud-est asiatico la situazione è molto più tragica. Nel frattempo, altre scuole e piccole imprese saranno costrette a chiudere, la navigazione sul Mekong inizia ad essere fortemente compromessa, gli agricoltori si ritroveranno presto senza derrate alimentari da vendere, e la popolazione avrà sempre meno cibo e acqua potabile a disposizione.

Di chi è la colpa? Del riscaldamento globale (come dicono i cinesi) o delle otto dighe idroelettriche (di cui tre già in funzione) costruite nelle regioni meridionali della Repubblica popolare? Evidentemente di entrambi, ma parte della responsabilità i cinesi dovrebbero condividerla con i governi del Sud-est asiatico che, sfruttando a loro volta il potenziale idroelettrico degli affluenti del Mekong, hanno contribuito a compromettere l’equilibrio ecologico e agricolo dell’intera regione.

In poco tempo, la rivoluzione idroelettrica della regione del Mekong si è tramutata in un fallimento dal punto di vista dell’agricoltura, del turismo e, soprattutto, della qualità della vita della popolazione locale. Meglio correre ai ripari, prima che i costi sociali dello sviluppo diventino insostenibili.

Fonte: Panorama.it, 30 marzo 2010

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