La crisi economica fa paura alla Cina. Previste nuove misure di sicurezza per prevenire proteste sociali

Pechino annuncia nuove misure per prevenire rivolte sociali e scioperi causate dalla crisi economica. Zhou Yongkang, membro del Politburo ha chiesto ai funzionari della province di migliorare la “gestione dei problemi sociali” per evitare nuove sollevazioni. Le proposte vanno dall’aumento del controllo dei siti internet e del personale di sicurezza al miglioramento dei fondi per i disoccupati. “Per noi – ha affermato Zhou – è urgente creare misure per la gestione del sistema sociale di gestione con caratteristiche cinesi per soddisfare la nostra economia socialista di mercato”. Il calo della domanda di beni da importare in Europa e Stati Uniti – diretta conseguenza della crisi mondiale in atto – colpisce in maniera sempre più dura la Cina, “fabbrica del mondo”. Aumentano nel contempo le proteste dei lavoratori contro il governo e gli industriali, che fra corruzione e negazione dei diritti dei lavoratori fanno calare i salari e aumentare il tasso di disoccupazione. In questi mesi ci sono stati molteplici segni di rallentamento nell’economia cinese. Fra giugno e settembre il tasso di crescita si è attestato sul 9,1% il dato più basso degli ultimi due anni. La scorsa settimana, la produzione ha mostrato una netta contrazione e il governo ha tagliato i fondi destinati alla banche per migliorare l’assistenza finanziaria. Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le proteste in Cina. Il 2 dicembre a Shangai, oltre 1000 operari della “Hi-P International”, fabbrica che lavora in subappalto per Apple e Hewlett Packard, hanno scioperato per due giorni contro i licenziamenti e le violenze delle forze dell’ordine contro i lavoratori, che hanno causato diversi feriti. In novembre, più di 7mila lavoratori sono entrati in sciopero contro licenziamenti e tagli di stipendio nella provincia meridionale del Guangdong, mentre altre centinaia hanno manifestato a Shenzhen per chiedere il pagamento degli straordinari.

In un altro articolo di Asia News si legge come un noto opinionista della televisione nazionale della Cina continentale afferma, in una lezione a porte chiuse, come “La Cina è sull’orlo del baratro. Pechino sta barando”:

L’economia cinese “è sull’orlo della bancarotta” e ogni provincia del Paese “ha i conti simili a quelli della Grecia”. Tutto questo “corrisponde a verità, ma secondo il sistema politico vigente nel Paese non possiamo dirlo”. A parlare non è un dissidente o un analista internazionale ma Larry Lang, titolare della cattedra di Studi finanziari all’Università cinese di Hong Kong e noto opinionista della televisione nazionale della Cina continentale. Il professore ha tenuto una lunga lezione a porte chiuse nella città di Shenyang, nella provincia settentrionale del Liaoning: nonostante abbia proibito ogni ripresa della sua lezione, un audio è stato reperito e messo in Rete da alcuni dei presenti. Lo si trova qui.Nell’audio, secondo la traduzione fatta dall’Epoch Times, il professore apre la lezione dicendo: “Tutto quello che sto per dire è vero. Ma, secondo i canoni di questo sistema politico, non abbiamo il permesso di dire la verità. Non dovete pensare che stiamo vivendo in un tempo di pace: i media non possono riportare quello che accade. Chi di noi lavora in televisione si sente frustrato, perché non si possono fare programmi reali”. Secondo il docente, ci sono 5 motivi alla base della possibile bancarotta del sistema cinese. Il primo motivo è che il debito del regime è di circa 36mila miliardi di yuan, pari a 5,68mila miliardi di dollari. Questo risultato si ottiene aggiungendo al debito dei governi locali – fra i 16 e i 19,5mila miliardi – quello delle imprese di proprietà statali, che si aggira intorno ai 16mila miliardi di yuan: “Con gli interessi che crescono, pari a 2mila miliardi l’anno, le cose peggioreranno molto presto”. Al secondo punto c’è la grande incognita dell’inflazione, che il regime fissa in maniera ufficiale al tasso del 6,2 %. Secondo Lang, il vero tasso è intorno al 16 %: questo dato, tra l’altro, spiegherebbe molto bene le centinaia di migliaia di proteste sociali connesse al costo della vita che ogni anno avvengono in Cina e le preoccupazioni della Banca centrale del popolo, che sta riducendo in questi giorni il volume di liquidità immesso nel circuito economico cinese. Al terzo punto c’è lo squilibrio fra produzione industriale e consumo interno. Il cinese medio, ha spiegato il professore, consuma soltanto il 30% dei prodotti dell’attività economica interna: in questo modo non si può sviluppare un mercato interno e aumentano i prezzi al consumo. Secondo Lang il nuovo crollo del tasso di produzione industriale – che ha toccato il record negativo di 50,7 – è il segnale della recessione in corso in Cina. Al quarto punto ci sono gli indicatori di produzione: il tasso di crescita del Prodotto interno lordo, che per Pechino si aggira quest’anno intorno al 9 %, è falso. Secondo i dati del professore, infatti, il Pil è in realtà in seria diminuzione. Questo spiegherebbe perché moltissime aziende del settore privato – che secondo alcuni studi garantiscono il 70 % totale del Pil – sono state costrette a chiudere negli ultimi due anni scatenando un’ondata di disoccupazione. All’ultimo punto c’è la pressione fiscale, che secondo Lang è fra le più alte al mondo: per l’industria (contando imposte dirette e indirette) le tasse arrivano al 70 % dei guadagni totali. Per il privato, il cuneo fiscale è arrivato al 51,6 %. Il professore, chiudendo la lezione, ha detto: “Appena lo tsunami economico inizierà a colpire la Cina, il regime perderà la sua credibilità e il nostro Paese diverrà uno dei più poveri al mondo”.

Fonte: Asia News, 5 dicembre 2011

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