La democrazia arriverà in Cina
Da LaStampa.it riportiamo un articolo di Paolo Mastrolilli sul discorso di Chen Guangcheng dinanzi al Council on Foreign Relations di New York.
«Sono ottimista: la democrazia arriverà in Cina durante l’arco della mia vita, perché le cose stanno cambiando molto velocemente. Però la comunità internazionale deve continuare a premere su Pechino, affinché rispetti le sue stesse leggi».
Chen Guangcheng, il dissidente cinese cieco fuggito negli Stati Uniti il 19 maggio scorso dopo un braccio di ferro tra Washington e Pechino, ha fatto ieri il suo esordio sul palcoscenico della politica estera americana che conta. Il Council on Foreign Relations lo ha ospitato per la sua prima uscita pubblica, insieme al professore Jerome Cohen, che sta organizzando i suoi studi legali a New York. Vestito scuro, camicia bianca e cravatta rossa, Chen è sembrato subito a suo agio. Ha chiarito come è avvenuta la fuga: «Non sapevo che stesse arrivando una delegazione guidata da Hillary Clinton, perché ero completamente isolato. Sono andato all’ambasciata americana perché volevo avere la possibilità di studiare all’estero. Il governo ha violato le intese sulla mia uscita dall’ambasciata, e quindi ho deciso di andare via. Ma il punto importante è che sono venuto perché mi è stata concessa l’opportunità di studiare qui». Chen ha detto di non aver cambiato idea sul suo futuro, perché «spero ancora di tornare in Cina. Le autorità mi hanno fatto una promessa, e credo che ogni cittadino dovrebbe essere libero di partire e tornare a suo piacimento».
La prima preoccupazione, ora, è per la sua famiglia: «Mio fratello è stato aggredito, dopo la mia partenza. Alcuni malviventi sono entrati nella sua casa, lo hanno picchiato e hanno rubato il suo cellulare e altri strumenti di comunicazione. Mio nipote ha cercato di difendersi dall’aggressione, prendendo un coltello dalla cucina, e ora è accusato di tentato omicidio. Gli aggressori, invece, sono liberi e nessuno li sta cercando». Questo è un punto fondamentale, perché dimostra il problema che sta al centro della battaglia per la legalità condotta da Chen: «In Cina le leggi ci sono, ma il governo è il primo a non rispettarle. Manca lo stato di diritto e anche le convenzioni internazionali vengono costantemente violate, tipo quelle contro la tortura. L’articolo 5 della nostra costituzione garantisce la libertà dei partiti politici, ma le autorità sono le prime a violarlo. Come diceva Confucio, “Se tu non sei disposto a comportarti in maniera corretta, chi altro ti aspetti che lo faccia?”».
In questo senso lo scandalo di Bo Xilai, l’alto dirigente comunista accusato di corruzione, non è un caso isolato: «Molti altri hanno amanti o commettono reati simili, però non vengono perseguiti». Chen non chiede di abbattere il regime e giudica «non realistiche le aspirazioni di chi pensa di spostare la montagna in un giorno». Però resta convinto che la pressione internazionale, e quella interna di ciascun cittadino, potranno spingere la Cina a cambiare: «Dicono che non dobbiamo imitare l’Occidente: giusto. Però ci sono molte democrazie che funzionano bene anche in Asia, e noi possiamo costruire la nostra».
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