La maledizione dei nobel per la pace ha già colpito Aung San Suu Kyi

“Ma perché i Nobel per la pace non possono essere degradati ?”

Si è sfogata così un’operatrice di Amnesty International a proposito della leader birmana Aung San Suu Kyi,nobel per la pace. Per la verità,c’è anche qualche altro precedente, a cominciare da Barack Obama che,appena nominato presidente degli Stati Uniti,si è visto assegnare l’ambito premio da Oslo . Poi però, a pochi mesi dalla fine del suo mandato, si è dato molto da fare per “giustificare” quel riconoscimento,chiudendo ( con l’aiuto di Papa Francesco) la rovente questione cubana, e la controversia sul nucleare iraniano. Entrambe queste “patate bollenti” sono ora messe in discussione da Donald Trump perché ritenute contrarie (giustamente) agli interessi,non solo degli Usa,ma dell’intero Occidente.

L’operatrice di Amnesty si riferiva alla storica leader del Myanmar (ex Birmania), per la sua difesa dell’operato dell’esercito,nonostante che i militari l’abbiano tenuta per molti anni segregata in carcere e agli arresti domiciliari perché si batteva per la libertà e la democrazia nel suo paese. Adesso però il potere ,conquistato dopo la schiacciante vittoria del suo partito (la Lega nazionale per la democrazia),sembra averla fatta diventare più “mansueta”,più ligia alle regole istituzionali, al punto da non farle più rispettare i diritti delle minoranze, a cominciare dalla persecuzione dei musulmani rohingya : una popolazione di oltre un milione e 200 mila abitanti,concentrati soprattutto nello Stato del Rakhine.

Come è ormai noto ,da circa un mese questa popolazione inerme è sottoposta a violenze di ogni tipo ( incendi di villaggi,stupri di massa,centinaia di uccisioni in un solo mese,anche di donne e bambini,torture sistematiche,ecc.), tali da far definire questa campagna una vera e propria “pulizia etnica”.

Certo,soprattutto in passato non sono mancate bande di guerriglieri musulmani,che hanno ingaggiato conflitti armati con le forze di sicurezza birmane,soprattutto al tempo della dittatura militare. Le bande rappresentavano la risposta armata alle rappresaglie del regime militare nei confronti della popolazione civile rohingya . Fra l’altro, sino a un anno e mezzo fa, le violenze non erano neppure conosciute: i giornalisti , gli operatori umanitari ( e i i turisti) non riuscivano ad ottenere i permessi per entrare nei territori definiti “pericolosi” . Ora la Cina,raccogliendo l’invito del governo birmano,ha deciso di sospendere ogni aiuto ai guerriglieri perché ha interesse a ripristinare dei buoni rapporti col Myanmar ( l’interscambio fra i due paesi è molto intenso).

Continua però la l’emigrazione verso la Thailandia e il Bangladesh . Sino a pochi giorni fa circa 425 mila rohingya sono fuggiti dal Myanmar verso il Bangladesh .Questa cifra si sta sempre di più avvicinando a quella della metà della popolazione originaria, nel silenzio dell’opinione pubblica del paese.

“L’esercito del Myanmar – ci dice Tirana Hassan,direttrice di Amnesty International- sta uccidendo e costringendo alla fuga i rohingya,nel contesto di una campagna di crimini contro l’umanità,che costituiscono pulizia etnica. Gli Stati membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu devono chiedersi da quale parte della storia vogliono stare e fare tutto ciò che è nelle loro possibilità per porre fine alla persecuzione di questa popolazione. Le Nazioni Unite dovrebbero chiedere il blocco dei trasferimenti di armamenti,munizioni ed equipaggiamenti militari nel Myanmar.”

I militari hanno sempre smentito le violenze,ma le organizzazioni umanitarie hanno documentato ampiamente che gli incendi dei villaggi continuano ( per impedire il ritorno dei profughi ) e le persecuzioni ( e le atrocità ) non subiscono soste. A stabilirlo sono i servizi fotografici di coraggiosi fotografi (come Dar Yasin di Associated Press) e le immagini riprese dai satelliti .

Yasin ha raccontato al Time: “Mi sono occupato di molte crisi umanitarie,ma la portata di quella che ha colpito i rohingya è molto diversa. Ovunque guardi vedi persone alla disperata ricerca di cibo,acqua,rifugi o di una faccia amica che viene dal Myanmar”. Gli incendi nelle case dei villaggi di Rakhine sono provocati dai militari e dalle squadre di vigilantes al servizio del governo.

In questo panorama di devastazioni, sofferenze,violenze, fughe degli abitanti terrorizzati ha colpito , nelle scorse settimane.prima, l’assordante silenzio della paladina dei diritti umani ,San Suu Kyi,poi le smentite e,infine, le giustificazioni del premio Nobel , a difesa dei militari birmani .La presidente di fatto (formalmente il capo del governo è Htin Kyan ,subentrato pochi mesi fa a Thein Sein ) ha contestato le violenze nei confronti della popolazione rohingya ( le stesse che l’Onu ha definito “ un esempio da manuale di pulizia etnica” ),ha minimizzato gli orrori ,smentendo anche le testimonianze raccolte da giornalisti e operatori umanitari. Diversi membri del governo, sostenuto da San Suu Kyi ,sono arrivati ad affermare sul New York Times che “ i gruppi umanitari internazionali sono collusi con i miliziani rohingya”.

La leader della Lega per la democrazia sta cercando,con i suoi interventi ,di “salvare” i militari dall’accusa di aver commesso crimini contro l’umanità, nel tentativo di controllare i falchi in divisa,visto che le forze armate hanno ancora un potere fortissimo nel paese (controllano il 25 per cento del parlamento e hanno il diritto di veto su ogni legge da loro ritenuta sgradita ).Infatti,se dovessero,come già avvenuto in passato,prevalere i militari conservatori ,si fermerebbe la transizione democratica nel Myanmar che tanto sta a cuore alla Signora San Suun Kyi. In questo scenario politico i rohingya sono un “ostacolo” che i militari vorrebbero eliminare radicalmente,favoriti dal fatto che questa popolazione non ha più la cittadinanza. Infatti una legge del 1982 ha cancellato i diritti di un milione e 200 mila persone,considerate apolidi e come tali quindi discriminati,emarginati e che potrebbero essere “cancellati” dalla faccia della terra. Trentacinque anni fa vennero accusati di essere entrati illegalmente nel paese più di un secolo fa. Altro che Ius soli…

Questo significa che il consenso (anche elettorale) di oltre un milione di persone non conta assolutamente nulla. Interessa solo quello di etnia bamar ,la più grande del Myanmar , a cui appartiene anche Suu Kyi.

La parola ora è al segretario generale delle Nazioni Unite,Antonio Guterres,che si è espresso duramente nei confronti della signora premio Nobel ( che ,tra l’altro,presiede una delle due commissioni “per ristabilire la pace”) e contro Kofi Annan,ex segretario generale dell’Onu ( presidente dell’altra Commissione,che ha lo stesso compito). Guterres è stato molto drastico ,ma intanto i profughi continuando a fuggire rischiando di morire ai confini col Bangladesh, anche per mano dei bambini soldato reclutati dai militari e delle mine poste in violazione del diritto internazionale.

(Articolo uscito su “La Verità” il 7 ottobre 2017)

Aldo Forbice

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