La morte di Liu Xiaobo: vergogna per il Governo Cinese ma anche per l’Occidente

di Aldo Forbice
“C’è qualcuno con te? / Ci sono degli uccelli / Non li vedo/ Ascolta il battito delle loro ali/ Non sarebbe bello disegnare degli uccelli sui rami ? / Sono troppo vecchia per vedere, cieca”.
Questi versi sono di Liu Xia, la moglie del dissidente Liu Xiaobo, morto a 61 anni, di un tumore al fegato dopo otto anni (su 11 anni di condanna) trascorsi in un carcere cinese. Le autorità lo hanno “liberato” per evitare di farlo morire in una cella: non lo hanno fatto per umanità, ma semplicemente perché temevano un impatto sull’opinione pubblica ancora più devastante.

Alla moglie, la poetessa Liu Xia, agli arresti domiciliari da molti anni, non le hanno concesso di vedere il marito, neppure in fin di vita. L’Occidente è rimasto sordo all’appello degli intellettuali per consentire a Xiaobo di recarsi in un paese europeo o negli Usa per potersi curare in un moderno ospedale e consultare specialisti oncologi.

Per la verità la cancelliera Merkel ha chiesto a Pechino un gesto umanitario,ma senza farne parlare troppo dai giornali per non irritare il governo cinese. La stessa cosa, ma anche più sommessamente, ha fatto Donald Trump, ma non è stato direttamente il presidente americano a chiederlo, ma un suo portavoce. Ora,solo dopo questa tragica morte, l’Occidente ha scoperto l’eroe di Tienamnen, premio Nobel per la pace nel 2010,un riconoscimento che non ha potuto ritirare perché il governo non gli ha consentito di recarsi a Oslo.

Liu era stato condannato a 11 anni di carcere duro per aver scritto un documento, “Charta 08” in cui si chiedevano riforme democratiche, così come avevano fatto i dissidenti cecoslovacchi, con “Charta 77”. Anche la moglie,che ha sempre condiviso le traversie e le sofferenze di Liu, è stata condannata agli arresti domiciliari; le è stato vietato ogni contatto con il marito,parenti e amici, con la proibizione di qualsiasi viaggio, a cominciare di Oslo,dove avrebbe potuto ritirare il premio Nobel, al posto del marito. Ora Xia si trova ancora agli arresti domiciliari e sembra ammalata da una gravissima forma di depressione.

Diversi governi europei (ma non risulta quello italiano) hanno chiesto la liberazione della donna, ma fin’ora il governo cinese appare irremovibile. Liu Xiaobo è diventato il simbolo dei dissidenti nella Rpc. Era rientrato a Pechino nel 1989 da New York, dove insegnava alla Columbia University; si era subito schierato a Tienanmen con gli studenti, ma quando si è reso conto che la partita era persa di fronte alla testarda ostinazione di un regime plumbeo e disumano, fece di tutto per convincere i ragazzi a “mollare” per non finire vittime di un tremendo massacro, con migliaia di morti, feriti, torture nelle carceri di tutta la Cina. Come poi, purtroppo, è avvenuto. Ancora oggi gli intellettuali in cella di quella stagione sanguinosa sono diverse decine. Xiaobo è stato controllato sino alla fine dal regime, che gli impedì le cure all’estero e ogni tipo di contatto esterno,compreso quello con la moglie molto amata. In una lettera lasciata alla sua compagna, ha scritto: “Se fossi ridotto in polvere ,userei le mie ceneri per abbracciarti”.

Se gli fosse stato concesso di recarsi a Oslo per ritirare il Premio, il combattente per i diritti umani,avrebbe sicuramente letto un brano di Charta 08: “La Cina è una grande nazione, il cui sistema politico continua a produrre disastri sul fronte dei diritti dell’uomo… Spero di poter essere l’ultima vittima dell’inquisizione”. Purtroppo siamo convinti, anzi ne siamo più che certi, che Liu non sarà l’ultima vittima, sino a quando continuerà a esistere un regime comunista che schiavizza gli uomini in nome del mercato e del profitto (capitalista).


Fonte: Avanti, 14 giugno 2017

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