La silenziosa situazione dolorosa delle donne in Cina: stupri e campi di concentramento. [video]

In Occidente le organizzazioni in difesa delle donne, tv e femministe evidenziano le atrocità e le brutalità nei confronti del mondo femminile, ma non denunciano le violenze che le donne subiscono in Cina. In Oriente i diritti delle donne sono violati. Subiscono atrocità che riportano indietro di centinaia di secoli. Nell’era di internet e della globalizzazione in cui tutto è più vicino, connesso e conosciuto le donne guardano ancora al loro orticello lasciando sole le più indifese.
Chi pensa che La Cina con il suo sviluppo economico abbia portato ad una società più moderna si sbaglia.
La mentalità dai tempi della pratica del Loto d’oro in auge dall’inizio della dinastia Song e durante le dinastie Ming e Qing e gradualmente scomparsa durante la prima metà del XX secolo dove fasciavano i piedi per mantenerli piccoli rompendo prima le ossa dei piedi alle bambine non sono lontani, perché la mentalità non è cambiata.
In Asia le donne non hanno diritti, un esempio è la politica del figlio unico ora dei due figli modificata nel 2016 ma non abolita e il partito sceglie per le madri; se a questo si aggiunge la sistematica repressione religiosa e di etnie minori si intuisce la situazione dei diritti delle donne in Cina.
Aborti e sterilizzazioni
Ora in Cina è più facile avere il permesso per il secondo figlio, perché c’è una sproporzione tra maschi e femmine che auspicano di colmare, ma se la donna incinta appartiene ad un gruppo che il PCC perseguita le cose cambiano, niente multa ma aborto e sterilizzazione.
La situazione più tragica si vive nella vasta regione dello Xinjiang, dove ci sono gli Uiguri. Centinaia di migliaia di donne uigure ogni anno sono costrette ad abortire e a farsi sterilizzare. Il partito comunista non vede di buon occhio chi pratica una religione in quanto l’unica “religione” da venerare è quella del Pcc, ma per gli Uiguri il divieto è esplicito.
Le donne uigure sono obbligate a conformarsi al resto della società portando abiti più corti rispetto a quelli previsti dalla loro cultura.
E’ come se in Occidente ci fosse l’obbligo della minigonna per le donne mussulmane.
Se un padre di famiglia uiguro è in prigione, un funzionario cinese si può trasferire nella sua casa con i propri familiari e formare “famiglie raddoppiate” e spesso abusa della moglie del prigioniero.
Una soluzione per le donne uigure è quella di rinunciare alla propria fede e sposare i cinesi di etnia Han.
I campi di concentramento
La cosa peggiore però che possa capitare ad una donna in Cina e per chiunque è finire in un Laogai, anche se ora il Pcc ha modificato il nome in svariati modi ma il sistema è rimasto inalterato, in cui finiscono gli oppositori politici e religiosi del regime o chiunque non è in linea con il pensiero del Pcc.
Sono dei veri e propri campi di concentramento, esistenti da decenni e ignorati dai mass media occidentali per convenienza, da cui provengono storie di orrore più volte denunciate da Arcipelago laogai: in memoria di Harry Wu (Vedasi incontro alla Camera dei Deputati, Roma nel giugno del 2017), soprattutto da quelli femminili.
Le donne imprigionate vengono isolate dai mariti e dai figli e rinchiuse in luoghi senza igiene e sovraffollati.
Se è facile immaginare le violenze fisiche, quelle psicologiche appaiono ancora più incredibili in una società moderna.
Sayragul Sauytbay, una donna liberata da uno dei campi, racconta: “venivamo punite per tutto, perché non parlavamo bene cinese, perché non cantavamo quando desideravano loro. Due donne sono state punite perché si sono abbracciate.
Le punizioni andavano dal toglierci il cibo, allo strapparci le unghie o peggio. La cosa peggiore che può subire una donna, la racconta con un esempio:
“Una giovane ragazza una volta è stata costretta a confessare i suoi peccati davanti a 200 prigionieri e poi punita con uno stupro di gruppo da parte dei carcerieri davanti a tutti”.
Durante lo stupro le prigioniere erano obbligate a guardare: “quelle che si rifiutavano chiudendo gli occhi venivano portate via e non sono state più riviste”. Inevitabilmente qualche donna rimane incinta per via degli abusi e viene costretta ad abortire.
Molte ex prigioniere raccontano poi di essere state costrette ad assumere medicinali che ne alteravano l’umore, bloccavano il ciclo e che per alcune hanno causato dei disturbi cognitivi.
Il partito comunista negli ultimi anni ha anche creato in parallelo, le “prigioni nere” ( Black Jails) dove viene rinchiuso chi critica il regime di Pechino.
L’80% dei detenuti in Cina, nei centri di detenzione non ufficiali, o le cosiddette “prigioni nere”, sono donne e molte, secondo un rapporto pubblicato dal “Chinese Human Rights Defenders” (CHRD), soffrono di continui abusi da parte dei loro carcerieri. Il rapporto, pubblicato come testimonianza sui diritti delle donne di Pechino e per la revisione da parte delle Nazioni Unite, documenta circa 1.000 casi di detenzione segreta e di abuso delle donne nelle carceri nere del paese, che sono spesso utilizzate per mettere a tacere i reclami nei confronti del PCC.
La spiegazione si trova in un subdolo terrorismo psicologico: le donne vengono arrestate e stuprate per intimidire o punire i membri maschi della sua famiglia. Il corpo di donne senza diritti diventa così lo strumento di repressione politica e di divertimento per gli agenti governativi.
Nel 2014 Il CHRD ha invitato le agenzie internazionali a fare pressione su Pechino per porre fine a tutte le detenzioni illegali delle donne e per liberare tutti i detenuti nelle carceri nere, prendendo gli autori legalmente responsabili e fornendo un risarcimento alle vittime. Ancora oggi nulla è cambiato in maniera decisiva e il regime cinese forte del silenzio del mondo occidentale e dei governi ottenuto in nome del profitto si sente sostenuto e continua imperterrito nelle sue brutalità, nei sui malvagi crimini contro l’umanità rendendo complici le cosiddette democrazie di efferati e sanguinosi reati.
Gianni Da Valle, Arcipelago laogai: in memoria di Harry Wu, 117/01/2021
Video: 08/04/2020
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