Lascia il capo di Google Cina in prima linea contro la censura

Il comunicato è freddo, asettico. “Kai-fu Lee, presidente di Google China si è dimesso per portare avanti una propria società”. Un cambio della guardia inaspettato, arrivato dopo i forti contrasti che negli ultimi mesi hanno segnato i rapporti tra il motore di ricerca più diffuso sul pianeta e il governo cinese. E che attraverso l’azione di Kai-fu Lee avevano visto Google impegnato a fronteggiare la censura che Pechino impone al web

Una lotta che andava avanti da tempo, e che Google, con altre compagnie straniere, combatte contro quella che viene definita la Grande Muraglia Digitale Cinese. Un sistema di censura del web altamente ramificato e gerarchizzato, controllato direttamente dai ministeri. Un dispositivo di controllo che ha tra i propri obiettivi quello di monitorare e neutralizzare ogni contenuto ritenuto pericoloso per l’ordine costituito. Un sistema in grado di schedare ogni opinione non conforme alle direttive del governo e del partito comunista al potere. Censura digitale che attraverso sofisticate procedure informatiche è capace di stanare i net-dissidenti, trattati poi alla stregua di criminali comuni. L’apparato è formato da migliaia di uomini addestrati per seguire e controllare le evoluzioni del web e imporre sempre nuove limitazioni alla libertà d’espressione. Blogger obbligati sottoscrivere una sorta di patto con il governo per non diffondere “messaggi erronei”. Video su You Tube sottoposti all’esame di apposite commissioni. Un sistema più volte denunciato da associazioni come Amnesty International e Peace Reporters.

L’ultimo scontro tra Google e le autorità cinesi era iniziato nella scorsa primavera. Il governo cinese aveva richiesto a Google di eliminare qualsiasi riferimento alla pornografia dal motore di ricerca, accusandolo di “non aver installato il filtro contro i contenuti osceni così come previsto dalla legge della Repubblica Popolare Cinese”. Richieste che si erano tramutate nel divieto di ricerca sui siti esteri e nella sospensione della funzione “tendina”, quella che consente il completamento automatico delle richieste inserite nel motore di ricerca. Nonostante le numerose le polemiche in tutto il mondo contro il governo cinese, accusato di istituzionalizzare pratiche di controllo da Grande Fratello, la compagnia di Mountain View aveva accettato di autocensurarsi per non abbandonare le enormi potenzialità di sviluppo del mercato digitale cinese.

Questa politica di controllo è molto difficile visto il boom che ha avuto internet in Cina negli ultimi anni, dovuto alla stesso governo che ha implementato il cablaggio del Paese, riducendo il digital divide interno tra aree urbane e zone rurali. Un sistema quasi impossibile da monitorare nella sua interezza, essendo composto da più di 350 milioni di utenti che attraverso l’enorme quantità di informazioni che il web mette a disposizione, entrano in contatto con versioni dei fatti riguardati la loro storia profondamente diversi dal racconto ufficiale del governo. L’occupazione del Tibet e i fatti di Piazza Tienanmen sono solo due tra questi. Proprio per il ventesimo anniversario di quest’ultima, il governo ha bloccato non solo le ricerche su Google, ma anche la possibilità di usare Twitter e altri social network e di consultare siti d’informazione stranieri. Divieti che però non hanno impedito azioni di hackeraggio da parte degli utenti cinesi.
Questo il contesto in cui avviene il cambio di guardia al vertice di Google. Oggi il motore di ricerca raccoglie circa il 20% delle query del Paese, in un mercato che vede la prevalanza di Baidu, stabilmente primo motore di ricerca con percentuali vicine al 75%. A sostituire Kai-fu Lee saranno John Liu, direttore delle vendite di Google China che sarà nominato vicepresidente, e Boon-Lock Yeo, fino ad oggi direttore dell’ufficio ingegneria.

Fonte: La Repubblica, 6 settembre 2009

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