L’Ecuador svende la Foresta Amazzonica alla Cina

3 milioni di ettari di foresta vergine (il 25% del totale nazionale) sono pronte per essere svendute dall’Ecuador alle compagnie petrolifere cinesi che, come già fatto in Perù dalle compagnie americane, faranno tabula rasa della foresta e inquineranno irreparabilmente i fiumi che la attraversano. Per non parlare delle popolazioni indigene finora sopravvissute, che non a caso, ma con poche speranze, in queste ore stanno cercando di far emergere la loro protesta.

Un vero controsenso per il presidente Correa, che dopo aver dato ospitalità ad Assange nell’ambasciata londinese e dopo essersi autocelebrato come protettore degli oppressi e oppositore degli “speculatori yankees”, oggi accusa gli indios di egoismo e dice che con le loro proteste si oppongono al progresso e all’arricchimento del popolo ecuadoregno, a partire dai poveri (come no…)

Un ragionamento molto “nordamericano”, ma il punto è che l’Ecuador, da tempo, si è legato a doppio filo ai finanziamenti cinesi cumulando 7 miliardi di dollari di debito (un decimo del PIL) e ne attende altri 12 per finire altre infrastrutture tra cui, appunto, una nuova raffineria di petrolio.

Una dipendenza totale e un solo modo per sdebitarsi: cedere il petrolio e i minerali amazzonici senza curarsi del fatto che sopra di essi c’è uno degli ultimi angoli verdi della terra che, almeno in teoria, dovrebbe essere un patrimonio mondiale.

Sta di fatto che lunedì mattina all’Hilton Hotel di Pechino, nel quarto giro di consultazioni,una rappresentanza politica ecuadoregna ha rilanciato la sua offerta ai magnati dell’oro nero cinese e la partita sembra già giocata.

Gli indios, evidentemente fuori dalle cose del mondo, hanno chiesto ai cinesi di rinunciare all’affare in nome della tutela ambientale: visto come hanno ridotto la Cina pare poco probabile che i “capitalisti rossi” si convertano all’ambientalismo in Ecuador.

Fonte: Il Mattino, 10 aprile 2013

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