L’imperialismo invisibile del dragone cinese
Acquisizione del 65% del porto del Pireo, la Pirelli in Italia, centrali atomiche in Inghilterra, Londra capitale dello yuan, il megaprogetto del Canale del Nicaragua, possidimenti di territori agricoli nel sud-est asiatico, consumo di circa 700 millioni di tonnellate di petrolio entro il 2020, proprietà di interi quartieri commerciali e industriali nelle città europee, base militare in Djibouti, dominio militare nel Mar Cinese Meridionale, progetto di una base navale militare nell’Oceano Atlantico. La Repubblica Popolare Cinese intende perseguire la geopolitica del multipolarismo?
Cina del premier Xi Jinping è oramai una potenza economica rampante con dei PIL annui di straordinaria crescita. L’economica cinese ha raggiunto negli ultimi vent’anni tali enormi potenzialità da trasferire i suoi capitali per investimenti ed acquisizioni in Europa, in Africa, e nell’America Latina, con relativa esportazione massiccia di capitale umano inseritesi nel tessuto economico dei tali continenti. In particolare, la Cina è affamata di materie prime per sostenere circa un miliardo di cittadini nel suo territorio. Circa il 50% del territorio cambogiano e laotiano è di proprietà cinese con l’investimento di 9.7 miliardi di dollari negli ultimi 18 anni per l’accaparramento di prodotti agricoli e alimentari con una manodopera locale più bassa di quella cinese. La China National Petroleum Corp (Cncp) produce gas naturale in Sudan dal 1996, e ha investito 5 miliardi di dollari nel Paese nel decennio seguente.
Il predominio energetico cinese riguarda anche il Sudan del Sud, dichiaratosi indipendente nel luglio del 2011. Secondo le stime economiche, il consumo di petrolio in Cina salirà a 580-590 milioni di tonnellate entro il 2015 e 690-700 milioni di tonnellate entro il 2020. Per rastrellare la produzione mondiale, Pechino è impegnata in un grande gioco del dominio. La Cina ha già finanziato con 43 miliardi di dollari le attività di estrazione e ricerca di oro nero nel Venezuela, e dal 2013 l’Ecuador si è impagnata di vendere il 90% del petrolio alla PetroChina. Nei prossimi dieci anni verrà completato il progetto ciclopico per la costruzione del Canale del Nicaragua del businessman di Hong Kong, Wang Jing. Un impresa di 50 miliardi di dollari approvata dal governo sandinista nel 2013 che dividerà il territorio nicaraguense in due parti e collegherà l’oceano atlantico con il pacifico in concorrenza con il canale (americano) di Panama.
L’Europa è terra di esportazione commerciale di prodotti cinesi e di acquisizioni immobiliari.Quest’anno la Grecia ha ceduto il 65% del porto del Pireo, primo porto in Europa (terzo al mondo) per passeggeri in Europa, nonchè uno dei più importanti scali merci d’Europa, alla Cosco, il più grande gruppo cinese di trasporto marittimo. Londra è attualmente la destinazione privilegiata per gli investimenti cinesi in Europa. Nel 2014 Londra è entrata come socio fondatore nell’AIIB, Banca Asiatica di Investimenti e Infrastrutture, creata dal governo di Pechino, concorrente al Fondo Monetario Internazionale. Con la Brexit, Londra diverrà la prima clearing house dello yuan fuori dall’Asia. Con la visita di Xi Jinping nel 2015, accolto con tutti gli onori dalla regina (i gadgets del matrimonio tra il principe William e Kate Middleton erano di provenienza “made in China”), fu stipulato il piano di finanziamento di due centrali atomiche di fabbricazione cinese, rifiutando il piano della multinazionale francese Areva.
La maggiore acquisizione cinese in Italia è il gruppo Pirelli da parte del colosso statale Chem China con un esborso totale di 7 miliardi di euro. In molte città europee gli imprenditori cinesi hanno acquistato interi quartieri immobiliari per usi commerciali, creando veri e propri centri commerciali di import-export cinese, di prodotti (anche contraffatti) realizzati con scarsi materiali, prezzi ridottissimi derivanti da un dumping sociale disumano ed illegale sul costo del lavoro (Marx ci insegna che il valore della merce deriva dal valore della forza-lavoro), provocando la chiusura di molte attività economiche locali. In Italia, esistono realtà economiche come la Chinatown di Prato, la zona industriale di Sesto Fiorentino, la “Gianturco Cinese” di Napoli, le fabbriche “sommerse” a S.Giuseppe Vesuviano, il centro commerciale di 40mila metri quadri ad Agrate Brianza. Gli investimenti stranieri dovrebbero almeno creare posti di lavoro per gli abitanti del luogo, invece l’agire economico cinese è racchiuso solo all’interno della loro comunità, con il totale rifiuto all’integrazione con gli altri popoli, arroccandosi nella barriera etnico-linguistica.
Alla luce di questi dati, si può ritenere che la Repubblica Popolare Cinese voglia perseguire la geopolitica del multipolarismo? Quel multipolarismo inteso come difesa delle culture locali, di costituzione dei rapporti di coesistenza pacifica tra i popoli, di non ingerenza economica e politica verso gli altri paesi? La Cina ha compreso che attraverso il denaro si può far tutto, nell’anonimato, senza troppo clamore. Mentre gli altri paesi si impegnano nelle guerre per affermare il loro domino, la Cina si intrufola e si consolida nelle economie estere in sordina. L’organizzazione criminale denominata “Triadi” ha un ruolo primario in questo contesto. Il tessuto economico-finanziario cinese, in patria e all’estero, nonchè il Partito Comunista al potere, e interamente gestito dalle Triadi, come li definiva l’ex presidente Den Xiaoping (1904-1997), “associazioni patriottiche di controllo sociale” (Cusano e Innocenti 1996:62).
La galassia eurasiatista considera il ruolo fondamentale della Cina nel mondo multipolare perchè fin dall’era di Mao Tse Tung, i rapporti internazionali erano improntati sulla non ingerenza e non belligeranza. Invece è proprio dalla presa del potere di Mao che la Cina mostra le sue tendenze di dominio: l’occupazione della Repubblica del Turkestan Orientale (Xinjiang) nel 1949, l’invasione del Tibet nel 1950, la rottura dei rapporti diplomatici tra Urss e Cina nel 1956, l’occupazione di due provincie del Kashmir nel 1962, la realizzazione della bomba atomica nel 1964, l’ostilità contro i comunisti vietnamiti (perchè filo-sovietici) durante la guerra del Vietnam, l’occupazione delle isole Paracelso appartenenti al Vietnam nel 1974, il sostegno cinese (e americano) alla rivoluzione dei Khmer Rossi di Pol Pot in Cambogia nel 1975 con lo scopo di aprire un nuovo fronte di guerra (la guerra cambogiano-vietnamita del 1978) per impedire il successo dei comunisti vietnamiti. La sconfitta e l’occupazione vietnamita della Cambogia scatenò un breve conflitto armato tra la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica Socialista del Vietnam nel 1979 (di fatto un conflitto tra Urss e Cina).
E’ riduttivo considerare la Cina come multipolarista per la non presenza di basi militari all’estero. ll passo da supremazia economica a supremazia militarista per lo spazio vitale cinese può essere reale nei prossimi decenni nel clima di cambiamento della strategia politica. La Cina possiede già una base militare in Djibouti, nel corno d’Africa, per proteggere i propri trasporti marittimi delle materie prime, dalla pirateria somala. Pechino starebbe negoziando perfino con il governo della Namibia allo scopo di impiantare una prima base navale sull’Oceano Atlantico, a Walvis Bay. La Cina ha già scelto la conquista dei mari per la sua espansione, quell’esistenza marittima perseguita dal Regno Unito, e seguita dagli Stati Uniti D’America (Schmitt, 1950). Questo elemento pone un distacco netto dall’Eurasia. La Cina rivendica la sovranità della “linea a nove tratti” che copre il 90% del mar Cinese meridionale a ridosso di pochi chilometri dalle coste filippine, malesi, e vietnamite. Dalle isole Paracelso fino alle isole Spartly, Pechino ha esteso il suo controllo costruendo sette isole artificiali installando infrastrutture militari, e rifiutando la sentenza della Corte dell’Aja che rigetta il loro diritto di sovranità.
Nel conflitto paretiano tra le elitè del potere, è l’identita culturale ed economica dell’Eurasia a farne le spese. Un Eurasia avvinghiata da una tecnocrazia fedele all’imperialismo atlantico statunitense, e da un paese con forti spinte egemoniche e unipolariste, la Repubblica Popolare Cinese. In uno scenario distopico del futuro, la Cina potrebbe assestare il definitivo colpo finale per affossare il continente europeo (Russia in primis), e stabilire la sua egemonia economica e militare insieme agli Stati Uniti D’America, i quali non vorranno perdere la loro fetta di dominio planetario. Nonostante la Cina ha buoni rapporti diplomatici con la Federazione Russa, è semplicistico affermare che il dragone cinese sia un fedele alleato anti-imperialista. La Cina ha fame di terre e di risorse per la sua immensa popolazione. La politica del secondo figlio approvata dal governo di Pechino è una spinta verso l’esigenza di uno Spazio Vitale, per il quale la storia dell’umanità ha conosciuto e pagato con il prezzo di milioni di vittime nel secondo conflitto mondiale. Cina e Usa potrebbero realizzare quell’impresa di dominio mondiale che non riuscì alla Germania hitleriana e al Giappone militarista. Che una riflessione venga intrapresa per perseguire una lotta anti-imperialista “a due fronti”, anti-americana ed anti-cinese, per l’Eurasia comunitaria e sovrana.
Carl Schmitt (1950) Der Nomos der Erde im Völkerrecht des Jus Publicum Europaeum
Pina Cusano e Piero Innocenti (1996) Le organizzazioni Criminali nel Mondo, pag.62, Editori Riuniti
L’Intellettuale Dissidente,10/10/2016
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