L’INTERVISTA:”Quei giorni a piazza Tienanmen”. L’ex leader: “La Cina non è cambiata”
Wu’er Kaixi dall’esilio rievoca la protesta: “La libertà è un miraggio”.
Roma, 18 agosto 2014 - NEL 1989 era a Pechino in piazza Tienanmen a guidare la protesta degli studenti cinesi contro il regime. Oggi, a 25 anni di distanza, Wu’er Kaixi è un uomo con due soli rimpianti: non essere riuscito a realizzare quel sogno di libertà e non poter riabbracciare i genitori.
Nella foto: Cina, il gesto di ribellione pacifica da parte del rivoltoso sconosciuto, 5 giugno 1989.
«Il ventesimo secolo può essere definito il secolo della democrazia. È in nome della democrazia, infatti, che si sono affrontate due grandi ‘battaglie: quella contro il fascismo, che poi ha portato alla Seconda Guerra Mondiale, e quella contro il totalitarismo comunista.
Non voglio peccare di presunzione, ma siamo stati proprio noi, in Cina, con il nostro movimento, a dare il via a quest’ultima — racconta Wu’er Kaixi, con gli occhi che ancora si illuminano al ricordo di quei giorni di maggio —. Sfortunatamente, a differenza di quanto avvenuto con il crollo del muro di Berlino e dei regimi dell’Est Europa, noi non abbiamo raggiunto il risultato sperato».
E il dolore sembra rinnovarsi in questo esiliato di 46 anni, riparato prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove si è laureato ad Harvard, per divenire infine un cittadino di Taiwan. «Intendiamoci, sono molto orgoglioso di essere stato un leader del movimento, ma dall’altro lato sono molto dispiaciuto per come siano andate a finire le cose. Il mio resta un Paese senza democrazia».
Eppure, la Cina è molto cambiata. Sono comparsi i multimilionari, e non passa giorno che i media internazionali non raccontino di nuove acquisizioni di marchi occidentali fatte da società cinesi. Tutto questo vorrà pur dire qualcosa, non crede?
«Venticinque anni sono un quarto di secolo. Allora non c’era Google, non c’erano gli smartphone. Riesce a immaginare la vita odierna senza queste cose? Il mondo è cambiato e, ovviamente, anche la Cina.
Ma questo non deve trarre in inganno: nel mio Paese la libertà resta un miraggio.
La gente, ad esempio, non può manifestare il proprio dissenso e il governo continua a ‘eliminare’ in maniera brutale i suoi oppositori.
Le terre vengono ancora confiscate e i contadini le devono lasciare senza potersi ribellare.
La popolazione supera 1,3 miliardi, ma le garantisco che appena l’1%, o al massimo il 2%, dei cinesi ha accesso al benessere, si può permettere di viaggiare e comprare capi firmati. Le loro storie sono quelle che appaiono sui giornali occidentali, ma in questo modo si ha un’idea distorta della società cinese».
Ritornando a quei giorni di ribellione a Pechino, qual è il suo ricordo più bello o la cosa di cui va più fiero?
«Molti giudicano i cinesi privi di entusiasmo, troppo pragmatici, anche poco coraggiosi. Ma nel 1989 noi abbiamo dato un’immagine diversa: i cinesi hanno dimostrato lo stesso entusiasmo, lo stesso coraggio e la stessa forza d’animo di qualsiasi altra popolazione che lotta per i propri ideali. Ecco questo è ciò di cui vado più fiero».
È superfluo chiederle quale sia il ricordo più triste?
«Il massacro è stato certamente uno dei momenti più drammatici e dolorosi per tutti quanti noi. Da un punto di vista strettamente personale, però, ce n’è anche un altro: l’addio ai miei genitori. Non li vedo da 25 anni, loro non hanno mai visto i miei figli. Mi piacerebbe poterli riabbracciare un giorno, chiedergli perdono per questa separazione».
Immagini di poter esprimere un desiderio per la sua Cina, cosa chiederebbe?
«Quello che chiedevo 25 anni fa: libertà di espressione, libertà di informazione, libertà di intrattenere relazioni economiche, sociali e culturali con gli altri Paesi».
Daniela Laganà,Quotidiano.net,18/08/2014
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