L’ombra di Chen sul vertice Cina-Usa

Il convitato di pietra al summit per il Dialogo strategico ed economico fra Usa e Cina si chiama Chen Guangcheng. L’avvocato dissidente, al centro di uno scontro diplomatico ben più forte di quanto dimostrino i toni ufficiali, pur senza essere nominato è stato protagonista in apertura dei lavori del vertice annuale. Il segretario di Stato Hillary Clinton ha chiesto infatti alla Cina di “rispettare la dignità'” dei suoi cittadini, sottolineando che “tutti i governi devono rispondere alle aspirazioni dei loro cittadini alla dignità e ad uno stato di diritto”. Il presidente cinese Hu Jintao ha subito ammonito l’illustre ospite chiedendo “un mutuo rispetto” fra le due superpotenze perché, ha spiegato, “ogni deterioramento delle nostre relazioni creerebbe dei rischi gravi per il mondo”. La vicenda, dunque, pare tutt’altro che finita, soprattutto per il clamoroso dietro-front dello stesso Chen che dopo aver accettato l’accordo fra Washington e Pechino e le rassicurazioni delle autorità cinesi circa il suo futuro, ha rilasciato un’intervista alla Cnn gridando al tradimento da parte degli Usa 1 e facendo appello direttamente al presidente Obama per l’espatrio immediato di se medesimo e della sua famiglia. Un secondo appello, ancor più accorato, Chen lo ha affidato a un’intervista rilasciata al sito Usa Daily Beast: “La mia speranza più forte è che io e la mia famiglia possiamo partire per gli Stati Uniti a bordo dell’aereo di Hillary Clinton”. Indiscrezioni a cui il regime cinese ha risposto con il più classico dei “no comment”. Dopo aver tenuto il consueto briefing quotidiano al ministero degli Esteri di Pechino, il portavoce Liu Weimin è stato lapidario, limitandosi a ribadire che il modo con cui gli Stati Uniti hanno gestito la vicenda è stato “irregolare” e “inaccettabile”. Quando poi gli è stato chiesto conto della richiesta di Chen di espatriare, il portavoce ministeriale ha tagliato corto: “Non dispongo di alcuna informazione al riguardo”. L’attivista per i diritti civili ha provato a spiegare, dicendo di essersi reso conto in ritardo di quello che l’intesa fra le autorità implicava per i suoi destini una volta lasciata l’ambasciata americana a Pechino. Da quel momento, in una serie di telefonate con amici come l’avvocato Teng Biao e in interviste alla stampa internazionale, Chen Guangcheng ha detto di non sentirsi sicuro e di voler emigrare con la sua famiglia. Il dissidente ha fatto sapere di essere solo, senza alcun sostegno americano, all’ospedale Chaoyang di Pechino, dove era stato ricoverato per controlli appena lasciata - “spontaneamente” secondo le fonti Usa - l’ambasciata americana in cui aveva ottenuto rifugio per sei giorni dopo essere scappato dagli arresti domiciliari nella sua provincia natale, lo Shandong. Questa mattina, a margine del vertice cino-americano, il Dipartimento di Stato Usa ha ammesso il cambiamento di volontà del dissidente e il suo desiderio di lasciare la Cina. “Ormai è chiaro - ha provato a spiegare Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento -. Nel giro di 12-15 ore, in quanto famiglia, hanno cambiato parere sulla volontà o meno di restare in Cina. Dobbiamo consultarci ulteriormente con loro, ottenere un’idea più precisa di ciò che vogliono fare e considerare tutti insieme le opzioni possibili”. La portavoce ha aggiunto che soltanto oggi Chen è stato contattato telefonicamente in due occasioni da funzionari americani, i quali hanno avuto, sempre al telefono, una “lunga conversazione” con la moglie Yuan Weijing. In conferenza stampa a Pechino, l’ambasciatore Usa Gary Locke ha dichiarato che nei sei giorni di permanenza nella sede diplomatica americana Chen Guagcheng non ha mai espresso il desiderio di ricevere asilo politico. “Ha sempre detto che voleva restare e vivere in Cina, per proseguire la sua battaglia per i diritti civili e completare i suoi studi”. L’ambasciatore Locke ha anche aggiunto un importante tassello alla vicenda, riferendo che ieri, al momento di lasciare l’ambasciata, a Chen è stata chiesta conferma della sua decisione. “Andiamo”, sarebbe stata la sua risposta, che Locke ha detto essere stata pronunciata di fronte a “un gran numero di testimoni”. Una versione che coincide con quelle di altri funzionari americani, sorpresi dalle dichiarazioni del dissidente che, sostengono, ha espresso ripetutamente la sua volontà di non lasciare la Cina mentre era nell’ambasciata. Come sostiene anche Jerome Cohen, esperto di legge cinese e amico personale di Chen, che dagli Usa ha partecipato alle trattative. “Quello che può essere successo è che quando ha incontrato la moglie, in ospedale, lei gli abbia raccontato delle cose che lo hanno fatto pentire della sua decisione”, ha detto Cohen. “La cosa peggiore sarebbe che ora emergessero circostanze che mettano Chen in guerra col governo degli Stati Uniti, che è il suo unico sostegno sicuro”. Chen, 40 anni, avvocato autodidatta, diventato cieco da bambino per una malattia congenita, è fuggito il 22 aprile dagli arresti domiciliari ai quali era tenuto illegalmente da un anno e mezzo dalle autorità locali, spaventate dalle sue denunce sugli aborti e sulle sterilizzazioni forzate. Secondo l’accordo tra Cina e Usa è stato raggiunto a Pechino dalla moglie e dai due figli e gli dovrebbe essere permesso di vivere libero, lontano dallo Shandong e di realizzare il suo sogno di laurearsi in giurisprudenza.

Fonte: Repubblica, 3 maggio 2012

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