L’Onu accusa la Cina: “Uiguri in campi di internamento”

La denuncia della comunità internazionale sul trattamento di un milione di cittadini appartenenti alla minoranza musulmana.

PECHINO - Lo Xinjiang, la provincia più occidentale della Cina abitata da una numerosa minoranza musulmana, è diventata “un enorme campo di internamento avvolto dal segreto”, una “zona senza diritti”. A denunciare la repressione di Pechino nei confronti dei cittadini di islamici di etnia uigura e kazaka ora non sono più solo attivisti o organizzazioni umanitarie, a lungo voci inascoltate, ma le Nazioni Unite.

Il comitato di esperti per l’Eliminazione della discriminazione razziale, riunito in queste ore a Ginevra per la periodica revisione della situazione in Cina, giudica “credibili” i rapporti ricevuti secondo cui un milione di cittadini sarebbero richiusi nei centri di rieducazione senza alcuna accusa né assistenza legale, sottoposti per il solo fatto di essere musulmani a un lavaggio del cervello nazionalistico. Alcuni stime avevano quantificato il numero di internati tra i 200 mila e il milione: gli esperti dell’Onu danno credito alla versione più tragica, che vedrebbe coinvolto circa il 10% della popolazione musulmana adulta.

Finora Pechino ha sempre negato l’esistenza dei campi di rieducazione. Tra le minoranze dello Xinjiang sono presenti dei nuclei indipendentisti, in passato protagonisti di attacchi alla polizia e atti di terrorismo. La campagna anti-estremismo lanciata da Xi Jinping però si è trasformata mese dopo mese in qualcosa di radicalmente diverso. Il territorio dello Xinjiang è stato militarizzato e messo sotto il controllo di un apparato di sorveglianza di massa che comprende telecamere, software spia nei cellulari e schedatura dei cittadini attraverso il prelievo di campioni biologici. La libertà di culto è stata limitata, mentre il numero di arresti è cresciuto a dismisura: l’anno scorso il 21% di tutte le detenzioni in Cina è stato registrato qui, dove vive meno dell’1,5% della popolazione del Paese. Nel frattempo, secondo la testimonianza di attivisti o musulmani scappati all’estero, si sono moltiplicati i centri di rieducazione, vere e proprie strutture detentive dove i musulmani vengono rinchiusi e indottrinati all’amore per la Cina e il Partito. Adem yoq, “se ne sono andati tutti”, è la frase con cui gli uiguri descrivono la sparizione di parenti o amici di cui non hanno più notizie.

Finora l’unico Paese a puntare il dito contro le autorità comuniste, per bocca del vice presidente Mike Pence, sono stati gli Stati Uniti, aprendo un fronte in più nella sfida sempre più a tutto campo con la Cina. La riunione del comitato Onu contro la discriminazione razziale, che proseguirà lunedì, è diventata così la prima occasione di confronto ufficiale sulla repressione in corso nello Xinjiang. A presentare il rapporto che accusa Pechino è stata l’americana Gay McDougall, vice presidente del comitato e tra i maggiori esperti al mondo di diritti delle minoranze; la delegazione statunitense alle Nazioni Unite ha già chiesto alla Cina di liberare i cittadini detenuti in maniera arbitraria. Finora la numerosa squadra cinese presente a Ginevra si è trincerata in un ermetico silenzio, ma lunedì al termine dei lavori potrà mettere a verbale una risposta ufficiale. In cui dovrebbe ribadire la sua versione: in Xinjiang le libertà dei musulmani, personali e religiose, sono del tutto garantite.

La Repubblica,11/08/2018

English article,The Globe and Mail:

UN committee accuses China of turning Uyghur-dominated region into ‘no-rights zone’n

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