Made in China = Made in prison

Ogni giorno i quotidiani ci ricordano l’attuale crisi finanziaria mondiale. Non è questo il luogo per analizzarne cause e rimedi, ma un dato è evidente, sotto gli occhi di tutti: negli ultimi 20 anni decine di migliaia di imprese italiane hanno cessato la loro attività. Quelle più grandi hanno delocalizzato le loro strutture e le loro forniture nei paesi ove il costo del lavoro è a buon mercato. Molte hanno guardato con interesse alla grande Cina con la quale si concludono ottimi affari. Dal paese asiatico si importa merce di ogni tipo a bassissimo costo: perché in Cina il lavoro umano costa poco, perché in Cina l’essere umano vale molto poco. Le nostre medie – grandi imprese quindi chiudono in Italia e delocalizzano in Cina in cerca di alti profitti: spesso, però, i loro prodotti e il loro “know how” vengono copiati danneggiando così le stesse imprese che hanno optato per la delocalizzazione.
La Laogai Research Foundation denuncia da tempo la piaga delle importazioni e del traffico dei prodotti del lavoro forzato provenienti dai laogai. In questa circostanza, su richiesta dell’Associazione Artigiani, abbiamo cercato notizie sulla produzione di pneumatici, materiale edile, tessuti, cemento e calcestruzzo, cosmetici, componenti elettrici ed elettronici, vetro, plastica, ceramica e acciaio: sono questi i principali settori in cui, secondo l’Associazione Artigiani, le nostre aziende soffrono per la concorrenza cinese.
E’ risultato che almeno il 20% dei lager che conosciamo producono questi beni.
La comunità internazionale ha approvato la prima Convenzione Internazionale contro la Schiavitù nel 1926 e attraverso l’OIL ne ha redatto diverse altre contro il lavoro forzato e quello minorile (n.29. n.105, n.138 e n.182), controfirmate da almeno 150 paesi. Gli accordi GATT contenevano una clausola (la XX/e) che proibiva il lavoro coatto. Purtroppo tali norme sono state disattese negli accordi del WTO. E’ invece necessario che questi patti internazionali siano rivisti al doppio scopo di rispettare i diritti dei lavoratori e dei minori e di adottare i principi fondamentali della trasparenza nel commercio, cioè la tracciabilità e l’etichettatura obbligatoria di tutti i prodotti importati e commercializzati.
Riteniamo che sia doveroso proteggere la media e piccola impresa artigianale, e soprattutto quelle aziende virtuose che danno lustro al made in Italy con prodotti di qualità e rispettosi delle regole sociali in vigore nel mondo civile. Oltre agli indubbi benefici economici, comunque, si devono difendere anche i diritti dei lavoratori: una condizione indispensabile per favorire nei paesi più poveri uno sviluppo che non sia solo economico ma anche, e soprattutto, umano.
Questo rapporto è stato redatto dalla prof. Francesca Romana Poleggi, con la collaborazione della Laogai Research Foundation di Washington e il prezioso contributo del prof. Benedetto Rocchi che ha svolto la ricerca e la rielaborazione dei dati statistici riportati nell’Appendice I.
Speriamo che apra gli occhi di tutti coloro che hanno a cuore il bene comune del nostro popolo.

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Redazione

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