Miliardaria e truffatrice, Wu Ying scampa a pena di morte

Wu Ying, l’imprenditrice cinese un tempo tra le donne piu ricche del paese accusata di frode, e’ scampata alla pena di morte. Lo ha deciso lunedi’ con un rinvio a giudizio di due anni l’Alta Corte dello Zhejiang, lo stesso tribunale che nel 2009 l’aveva condannata alla pena capitale. Un mese fa, dopo che la donna aveva ammesso il crimine e collaborato con la giustizia per arrestare decine di funzionari e banchieri corrotti, la Suprema Corte Popolare aveva rigettato la sentenza ordinando al tribunale della provincia dello Zhejiang di riesaminare il caso. Con tutta probabilita’, sostengono gli esperti, la pena sara’ commutata in ergastolo, una virata comune dopo il passo indietro sulla pena capitale. Figlia 31enne di un contadino, Wu Ying aveva costruito la sua fortuna dal basso, aprendo un piccolo salone di bellezza nel 1997. Negli anni, riferisce AgiChina24, la donna aveva reinventato piu’ volte la sua attivita’ passando dal noleggio auto all’industria dell’abbigliamento. Poi nel 2005 aveva fondato la Bense Holding Group che opera nel settore del real estate e delle commodities, e aveva ‘sbancato’. Nel 2006 Hurun, il Forbes cinese, incoronava Ying “settima donna piu’ ricca della Cina” con un patrimonio di 3,6 miliardi di yuan (circa 446 milioni di euro). Ma il suo successo nascondeva storie di truffe. Tra il 2005 e il 2007 la donna chiese e ottenne prestiti per 700 milioni di yuan a privati con la promessa di sostanziosi ritorni. Di questi, oltre 380 milioni di yuan non saranno mai restituiti, nonostante Wu Ying ostenti uno stile di vita tutt’altro dimesso alla guida di BMW e Ferrari. Nel 2007 scattarono le manette ai polsi dell’imprenditrice e nel 2009 arrivo’ la condanna a morte. Colpevole si’, ma non da patibolo. A gioire per l’annullamento della condanna a morte era l’intera comunita’ del web su cui la storia della donna aveva fatto breccia e che in sua difesa aveva alzato la voce nei mesi scorsi. Il caso aveva attirato l’attenzione dell’opinione pubblica cinese che ha reagito in modo insolito alla condanna dicendo un secco no alla pena di morte. In particolare i sostenitori della donna puntano il dito contro una giustizia cinese che mostra un lato duro e irremovibile nei confronti degli imprenditori privati e uno piu’ morbido e accomodante verso i funzionari del governo. Non solo. Per molti il motivo della sua condotta e’ da ricercare in parte nelle falle del sistema bancario cinese che rende difficile per gli imprenditori privati ottenere dei prestiti, spingendoli in una pericolosa zona d’ombra fatta di attivita’ di fund raising sotterranee.

Fonte: AGI.it, 22 maggio 2012

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