Niente cittadinanza al Dalai Lama. Pisapia cede alle pressioni cinesi
Il dietrofront è secco: niente cittadinanza onoraria di Milano al Dalai Lama. Le pressioni cinesi hanno prevalso e il Consiglio comunale ha preferito desistere. Ma non sarà una replica dell’ultima visita del leader spirituale buddista al capoluogo lombardo. Allora, era il 2007, anche l’incontro con il sindaco Letizia Moratti avvenne fuori dai crismi dell’ufficialità. Questa volta invece Giuliano Pisapia ha annunciato che riceverà Sua Santità Tenzin Gyatso a Palazzo Marino, sede del Comune. Che la vicenda della delibera per concedere al leader spirituale tibetano le chiavi della città si sarebbe potuta trasformare in un caso diplomatico era nell’aria da tempo. Tanto che l’iter del suo approdo in aula ha subito rallentamenti e le voci di pressioni si erano susseguite. Ma la decisione, solo due giorni fa, di mettere la proposta firmata da tutti i capigruppo all’ordine del giorno della seduta di oggi era sembrata un segnale di “semaforo verde”. Niente di più sbagliato. Così, a cominciare da ieri sera, è stato un susseguirsi di incontri urgenti e trattative, fino al voto di oggi che ha di fatto cancellato il riconoscimento. Sedici i voti a favore, 12 i contrari (con l’opposizione anche il ’radicalè Cappato e il pd Gentili) e tre astenuti, tra cui il sindaco. L’irritazione cinese infatti si è da giorni scaraventata sull’amministrazione e sul Consiglio. Incontri, telefonate e lettere, dall’ ambasciatore e dal console. Ma non solo: suggerimenti a lasciar perdere sarebbero arrivati anche dagli investitori cinesi. Sullo sfondo, i timori per possibili ripercussioni su Expo, sull’ ingente investimento cinese per il suo padiglione e sul milione di visitatori attesi dal ’Celeste Imperò. Perciò, dopo una lunga e tesa riunione dei capigruppo, il Consiglio si è aperto con la proposta del presidente Basilio Rizzo di «non discutere oggi la delibera, ma di lavorare per trovare una soluzione migliore», un «omaggio al livello più alto possibile». L’idea, su cui ci sarebbe l’ok dei rappresentanti della potenza asiatica ma mancherebbe ancora la risposta del Dalai Lama, è di accogliere il Premio Nobel nell’aula di Palazzo Marino per una seduta straordinaria a lui dedicata e durante la quale potrà rivolgersi alla città. Proteste sono piovute dalle opposizioni. Il pidiellino Tatarella ha rifiutato «accordi al ribasso. Mi vergogno oggi - ha attaccato - di essere rappresentante di questo Consiglio e di questo Comune che ha paura». Sulla stessa lunghezza d’onda il grillino Calise secondo il quale significherebbe «cedere al ricatto della Cina, non lo accetto». «Figuraccia mondiale» per il leghista Morelli mentre dalla capogruppo Pd Rozza si è alzato un «no alle strumentalizzazioni» della vicenda. Da parte sua il sindaco di Assago, Graziano Musella, ha annunciato che il 28 giugno offrirà al Dalai Lama la cittadinanza onoraria. A riportare alla calma, prima del voto, è stato l’intervento di Pisapia che ha detto di aver parlato con la console cinese «che mi ha comunicato che la cittadinanza onoraria sarebbe stata interpretata come un segnale di inimicizia» e a cui ha risposto comunicandole che «come sindaco di Milano avrei ricevuto il Dalai Lama» a Palazzo Marino, «un impegno che voglio mantenere» e che «credo sia un segnale importante». Al contempo però Pisapia ha dato il suo via libera alla sospensiva della delibera e all’invito al Dalai Lama in aula, «una soluzione convincente e ragionevole, un punto di equilibrio», un «segnale che può essere più forte» della cittadinanza e quindi «una decisione più giusta e adeguata». «Non accettiamo diktat - ha concluso - ma non vogliamo creare inimicizie. Vogliamo rafforzare il dialogo e la pace».
Clicca qui per leggere il comunicato stampa diffuso dall’Associazione Italia-Tibet che esprime il proprio rammarico per il mancato conferimento della cittadinanza onoraria a Sua Santità il Dalai Lama.
Leggi di seguito il commento di Giuliano Corà sul Blog di Beppe Grillo:
Il Comune di Milano, una volta capitale morale, in seguito Milano da bere, e oggi senza neppure una qualunque identità, ha rifiutato la cittadinanza onoraria al Dalai Lama. Gli era stata promessa. Per ragioni di bottega gli è stata negata con il solito teatrino all’italiana e la nuova maschera lombarda a far la figura di merda: il facondo Pisapippa, una via di mezzo tra Balanzone e Arlecchino, il “vorrei ma non posso” di piazza della Scala, il dimissionario dall’Expo, ma anche no. La Cina, oltre ad aver occupato il Tibet, ha occupato anche Palazzo Marino. I neo maoisti meneghini hanno bocciato l’onorificenza a Tenzin Gyatso in nome dei danè. La Cina ha infatti minacciato di non partecipare all’Expo 2015 e pressioni di ogni genere sono arrivate in questi giorni al Comune di Milano da parte degli investitori cinesi. La nuova bandiera comunale dovrebbe essere un paio di mutande rosse. Io ho avuto l’onore di incontrare il Dalai Lama nella sua ultima visita a Milano. Mi concesse mezz’ora del suo prezioso tempo e, alla fine del colloquio, mi donò una sciarpa bianca e un forte abbraccio. Gli promisi il mio appoggio. Il Tibet è occupato, straziato, e l’Italia fa affari con chi lo occupa senza provare vergogna e si lascia ricattare nelle sue decisioni politiche per motivi economici. A questo punto è arrivato il Paese di Michelangelo e Giulio Cesare, di Leonardo e di Marconi, a farsi condizionare come un pezzente nei suoi rapporti internazionali. La dignità ce la siamo messa nel culo. Mi è arrivata notizia di una telefonata direttamente al presidente del Consiglio Comunale di Milano da alte autorità cinesi perché dissuadesse Pisapia dalla cittadinanza onoraria al Dalai Lama. Spero che non sia vero e che, nel caso, si sia risposto con un vaffanculo in cinese. Ma senza dubbio mi illudo. In Tibet sta avvenendo qualcosa di inaudito, contro l’occupazione cinese si stanno dando fuoco le giovani madri. Finora era successo solo per gli uomini. Il Tibet è circondato da un muro di omertà alla cui costruzione partecipa anche l’Italia. Buttiamo giù il muro. I muri sono da sempre impastati con il sangue dei popoli.
Fonte: La Stampa.it, 21 giugno 2012
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