“Non vogliamo lasciare la Cina” Google apre alla trattativa
Google non vuole andare via dalla Cina, ma si opporrà a qualunque forma di filtro. Lo conferma a Repubblica.it una fonte autorevole di Mountain View. L’ultima settimana è stata piuttosto tesa, con il colosso del web americano che ha reso visibili foto e contenuti “proibiti” sul territorio cinese (come il Dalai Lama), suscitando le ire del governo. Ma cosa è successo e soprattutto, cosa succederà?
Partiamo da ciò che è accaduto: Google ha subito incursioni da parte di hacker ai propri server cinesi, pieni di dati su persone, organizzazioni e attivisti nel mirino di Pechino. E’ di queste ore la notizia che, secondo ricercatori autorevoli, gli attacchi informatici sono partiti dalle autorità cinesi. Dopo l’assalto, Google ha deciso di spezzare il giogo del controllo governativo sui contenuti indicizzati, togliendo ogni tipo di censura. E così i 350 milioni di utenti web cinesi hanno potuto (sebbene più facilmente digitando le chiavi di ricerca in inglese piuttosto che in mandarino) vedere documenti e immagini mai diffuse della storia del loro paese, da Tien an men alle esecuzioni quotidiane. Un evento.
A questa mossa Google ha dato seguito paventando l’abbandono del territorio cinese se non fosse cessata ogni forma di controllo governativo ai contenuti restituiti dal motore di ricerca. La risposta di Pechino è stata immediata e perentoria: Google resti pure, ma solo adeguandosi alle leggi locali. Google ha poi risposto facendo sapere di non avere alcuna intenzione di abbandonare la Cina, soprattutto per non lasciare a Microsoft Bing un territorio fertilissimo per il business web. Del resto Steve Ballmer, capo di Microsoft, nei giorni successivi al caso Google-Cina aveva subito rimarcato che mai e poi mai Bing avrebbe lasciato la Cina, continuando ad adeguare il funzionamento del motore di ricerca a quanto Pechino richiede. Senza problemi.
Al di là dell’enorme perdita economica che lasciare la Cina rappresenterebbe per Google, sembra che a Mountain View abbiano approfittato dell’ingerenza del governo cinese anche per rinnovare un’immagine di purezza che Big G aveva un po’ offuscato accettando - com’è avvenuto al suo avvento in Cina - di censurare i contenuti. Un atteggiamento che cozza con il motto dell’azienda, quel “Don’t be Evil” (“Non fare del male”) che con la cronaca della censura cinese non ha poi molto da spartire.
Quello che succederà tra Google e Cina sarà più chiaro da qui a breve. Adesso lo scenario è in movimento. La sola certezza è che questo braccio di ferro si consuma in uno degli scenari più importanti, forse il perno fondamentale della geopolitica dell’informazione di questo secolo. Gli Stati si non fanno più la guerra, ma a scontrarsi sono la politica e l’informazione, la tecnologia utilizzata per liberare le idee o, quando serve, per rinchiuderle e isolarle. Un conflitto “nuovo” che solo la Rete, nella sua sua natura rivoluzionaria, è in grado di determinare.
Fonte: La Repubblica, 19 gennaio 2010
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