
Cina, la classe media si ribella Chiusa la fabbrica dei veleni
La classe media cinese protesta e le autorità, per una volta, accolgono le richieste della piazza. È quanto è successo ieri nella città costiera di Dalian, nel Nord-Est del Paese, dove «decine di migliaia» di persone (circa 70 mila secondo le testimonianze dei partecipanti, 12 mila secondo l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua) si sono date appuntamento, tramite i social network, per una «passeggiata» alle dieci di domenica mattina verso la piazza e gli uffici del governo locale. Motivo delle proteste, una fabbrica chimica in città, la Fujia Px, che produce paraxilene (Px), un componente delle bottiglie di plastica e del poliestere molto inquinante. Lo scontento nei confronti dell’impopolare fabbrica, operativa dal 2009, è salito alle stelle all’inizio di agosto, dopo il passaggio del tifone Muifa. Il maltempo infatti, secondo alcune voci, avrebbe danneggiato le dighe depurative davanti alla fabbrica, suscitando il timore di scariche contaminate nelle acque che bagnano la città. Gli sforzi delle autorità, che hanno fatto il possibile per tranquillizzare la popolazione assicurando che non ci sono pericoli per la salute umana, si sono rivelati inutili non appena si è diffusa la notizia che i giornalisti che cercavano di investigare l’accaduto venivano bloccati e picchiati dal servizio di sicurezza della fabbrica. Ecco dunque che migliaia di «colletti bianchi» hanno deciso di scendere in piazza. Anche in questa occasione è stato fondamentale il ruolo dei nuovi media, che non solo hanno dato il passaparola per l’appuntamento di ieri, ma anche diffuso in tutto il Paese la notizia di quanto stava avvenendo. Il clone cinese di Twitter, Weibo, infatti, ha trasmesso per ore immagini e commenti sulla manifestazione, prima di venire censurato. Ma già su Twitter altri utilizzatori trasmettevano che «oggi siamo tutti di Dalian». Le fotografie visibili su Weibo mostrano una vasta folla di persone decisamente diverse da quelle che di solito manifestano in Cina: con vestiti nuovi e alla moda, in piazza è scesa la Dalian benestante, con al collo grosse macchine fotografiche digitali e telefonini d’ultima generazione. Molti si erano organizzati, facendo stampare striscioni e magliette con dei teschi davanti al nome della Fujia o delle lettere Px. Alcuni slogan dicevano «ridatemi la mia città pulita» e chiedevano maggiore protezione per la salute delle persone. La presenza di polizia paramilitare era massiccia, ma non è chiaro se ci siano stati scontri o meno. In alcune delle foto visibili su Weibo, anzi, si vede una signora di mezz’età che, con un fazzolettino, si preoccupa di asciugare il sudore di un giovane soldato, mentre intorno a lei la manifestazione continua pacificamente ad alzare l’indice contro i palazzi governativi. La forza della protesta è stata tale che, malgrado la censura imposta, al telegiornale sulla rete nazionale «Cctv» 4 è stato dato l’annuncio che la fabbrica sarebbe stata chiusa: in soli undici secondi, e senza menzionare l’imponente manifestazione, un’annunciatrice ha reso noto che il governo locale aveva deciso di chiudere la Fujia, passando immediatamente ad altri argomenti. Chi ha partecipato alla manifestazione e i milioni di persone che ne hanno seguito gli sviluppi su Internet, però, sanno esattamente cosa è successo, e cioè che le proteste della middle class cinese ottengono rapidi risultati. Ma si vedrà solo nei prossimi giorni se gli organizzatori della «passeggiata» contro la Fujia saranno puniti, come è avvenuto in passato.
Ilaria Maria Sala
Fonte: La Stampa.it, 16 agosto 2011