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Tibet : Un mondo in estenzione - La catastrofe ambientale
Venerdì 26 settembre si è tenuto un convegno sulla catastrofe ambientale in Tibet presso la “Festa del Cactus” al Museo Memoriale della Libertà di Bologna. Sono intervenuti Gianni Sofri, presidente del Consiglio Comunale di Bologna, Giorgio Archetti, Assessore all’ambiente, il Rev. Alak Rimpoche, Giovanni Vuono della Casa del Tibet e dell’Associazione Italia-Tibet, Tenzin Thupten, presidente della Comunità Tibetana in Italia e Toni Brandi della Laogai Research Foundation Italia che ha anche agito come moderatore. I relatori hanno presentato la storia del Tibet, la recente repressione e l’incontrollato sfruttamento delle risorse ambientali del “Tetto del mondo”. Qui di seguito riportiamo l’intervento di Toni Brandi.
La Catastrofe ambientale in Tibet
Il plateau tibetano è il più alto ed il più vasto altopiano del mondo e domina tutta la parte centrale del continente asiatico. L’ecosistema di questo paese, chiamato anche il “Tetto del Mondo”, è particolarmente importante per l’Asia ed è unico sul nostro pianeta. Un altipiano sterminato a quota 4.500 metri con montagne che arrivano fino a 8.000 metri, incluso il Monte Everest (il Chomolungma)ed è il più grande serbatoio d’acqua dell’Asia, da cui nascono numerosi fiumi tra i quali il Bhramaputra, lo Yang tse, l’Huang he, l’Indo e il Mekong. In Tibet vi sono, o meglio vi erano fino alla metà del secolo scorso, foreste millenarie con querce, betulle e conifere, almeno centomila specie di piante come 400 tipi diversi di Rododendri che sono quasi 50% del totale del mondo, 118 mammiferi tra cui il leopardo e la scimmia delle nevi, 532 volatili tra cui la gru con il collo nero, 49 rettili e 61 pesci, tutte specie presenti solo nel Tibet. Questa era il Tibet invaso dall’esercito cinese nel 1949.I tibetani vivevano in armonia con la natura grazie alla loro fede nella religione buddhista che asserisce l’interdipendenza di tutti gli elementi esistenti sulla terra, siano essi viventi o non viventi. Questa credenza era ulteriormente rafforzata dalla stretta osservanza di una norma che potremmo definire di “autoregolamentazione”, comune a tutti i buddhisti tibetani, in base alla quale l’ambiente deve essere usato solo per soddisfare le proprie necessità e non va sfruttato per pura cupidigia. Infatti la caccia era proibita. La religione Buddhista richiede infatti uno stile di vita in armonia con la natura circostante. Sin dal 1642, nel decimo mese di ogni anno, veniva passato un decreto (Tsatsig), nel nome di SS Il Dalai Lama, per la protezione degli animai e dell’ambiente. Dopo l’occupazione del Tibet, l’attitudine amichevole e armoniosa dei tibetani nei confronti della natura fu brutalmente soppiantata dalla visione consumistica e materialista dell’ideologia comunista, o meglio capital-comunista, cinese. All’invasione fecero seguito devastanti distruzioni ambientali che causarono la deforestazione, il depauperamento dei pascoli, lo sfruttamento incontrollato delle risorse minerarie, l’estinzione della fauna selvatica, l’inquinamento da scorie nucleari, l’erosione del suolo e le frane. Ne consegue che, ai nostri giorni, lo stato dell’ambiente in Tibet è altamente critico e le conseguenze di questo degrado saranno avvertite ben oltre i suoi confini. La Cina pretende di voler “modernizzare” il Tibet ma questa “modernizzazione” è solo a scopo di sfruttamento e di profitto a vantaggio della Cina e degli immigrati cinesi mentre i tibetani sono sempre piu’ emarginati, esclusi ed impoveriti. Infatti, circa sette milioni di cinesi sono stati costretti ad emigrare in Tibet e sono loro che sfruttano l’ambiente ed il sottosuolo. Questa vera e propria invasione ha causato una rivoluzione demografica. Per esempio la zona tibetana del Amdo è passata da circa 1,5 milioni di abitanti negli anni cinquanta a piu’ di 5 milioni agli inizi del terzo millennio.
Va sottolineato che le tanto decantate ferrovie, come quella da Amdo alle città della costa cinese e le altre che legano Lhasa al resto della Cina, servono a dirigere questa immigrazione forzata di speculatori cinesi e di milioni di poveri in cerca di fortuna e con una visione della vita antitetica a quella tibetana. Le ferrovie hanno causato morti di rarissime specie animali e rifiuti industriali, gomme e vecchio materiale sono stati abbandonati vicino alla rete ferroviaria. La stessa Carta Bianca Cinese “Ecological improvement and environmental protection in Tibet” del 2003 conferma che la ferrovia è passata attraverso tre aree naturali ufficialmente protette (Hoh Xil, Chmarleb e Soga) con irreparabili danni all’ambiente. Inoltre Meng Xiani, direttore del CGS (Chinese Geological Survey) ha confermato che almeno 16 ricche miniere di zinco, rame e ferro sono adiacenti alla linea ferroviaria. Il Globe and Mail canadese ha pubblicato un interessante rapporto sull’effetto negativo che la rete ferroviaria ha sull’ecosistema tibetano, nel 2006. E’, forse, anche per distruggere l’habitat naturale del “tetto del mondo” che l’invasore cinese si è accanito contro l’equilibrio ambientale tibetano. Questo è stato anche l’effetto del China Western Development Program lanciato da Jang Zemin nel 1999 con un primo piano quinquennale (2000-2005) di vero e proprio sfruttamento del paese mediante la costruzione di infrastrutture elettriche, edilizie, un gasodotto ecc… dando vantaggi fiscali per lo sfruttamento di queste risorse a compagnie straniere.
70% della terra tibetana erano praterie, terre coltivate a erba che hanno sostenuto il popolo tibetano e i loro armenti per millenni. Ora queste terre sono soggette a deterioramento e degradazione a causa della trasformazione in terre per raccolti, a causa dell’estrazione dei minierali e la costruzione di infrastrutture. Dai tempi di Mao si attua il principio “squeeze agriculture for industry”. La deforestazione e la desertificazione selvaggia e lo sviluppo agricolo industriale, a scopo di profitto, hanno mietuto vittime : 220 000 chilometri quadrati di foreste sono ridotti a meno di 100 000 chilometri quadrati. La vendita del legname è risultata in piu’ di 60 miliardi di dollari di profitti per la Cina. La caccia è stata autorizzata per tutte le specie e questo è diventato uno degli hobbies preferiti dell’esercito cinese. Safari sono organizzati per cinesi e stranieri e per trentamila dollari si può uccidere un panda, o lo “zong”, lo yak selvatico, la scimmia dorata o la gru dal collo nero, tutte queste sono specie rarissime. Il leopardo delle nevi è ucciso per la sua preziosa pelle, l’antilope per la sua rara lana e la pecora selvaggia per le sue corna. Tutto a scopo di lucro. Interi corsi d’acqua sono stati deviati e sono state costruite dighe e centrali idro elettriche per fornire l’acqua a città cinesi come Chengdu, Xining, Lanzhou e Xian. Una centrale idro-elettrica è stata costruita presso il grande lago Yamdrok che è considerato sacro dai tibetani !Le dighe e le deviazioni dei corsi d’acqua hanno fatto i loro danni irreparabili. Il fiume giallo non è piu’ riuscito a raggiungere il mare numerose volte. Le stesse autorità cinesi del Qinghai hanno confermato che 67 per cento della terra intorno intorno allo Yangtse è deserta. Il fango che si riversa sui fiumi alza il livello dell’acqua e causa inondazioni. Rapporti scientifici confermano che le frequenti inondazioni nel Bangladesh originano da ciò. La TAR (il vecchio U Tsang tibetano), soprattutto intorno a Lhasa, le province del Guansu, Qinghai e del Sichuan hanno decine miniere di Uranio, probabilmente le più importanti tra le riserve conosciute di uranio al mondo. Questo sfruttamento ha causato inquinamento, malattie e morti come nel caso del villaggio Guru nel Sichuan già dagli anni 1990. Ricordiamo il rapporto “Nuclear Tibet” della ICT (international campaign for Tibet) a cura dello statunitense John Ackerly che già negli anni ‘90 denunciava la “Nona Accademia” presso il lago Kokonor nella provincia dello Sichuan, uno dei 1500 laghi naturali del Tibet. La “Nona Accademia” è considerata la “madre” delle bombe atomiche cinesi. La zona è da tempo utilizzata come deposito di rifiuti radioattivi. Anche qui vi furono dei morti per inquinamento secondo la testimonianza della dottoressa Tashi Dolma. Almeno 7 bambini morirono di cancro e numerose madri dettero vita a bambini morti. Vi sono anche numerose discariche per rifiuti industriali e nucleari i cui servizi sono offerti a compagnie cinesi e straniere. Già dal 1995 la Cina ha ammesso la presenza di discariche nucleari in Tibet (Agenzia Xinhua, agosto 1995). Esperimenti nucleari sono stati fatti alla frontiera tibetana con il Xinjiang e vi sono numerosi siti di esperimento e lancio per missili nucleari nel Qinghai. Ve ne erano almeno tre secondo il Natural Resources Defense Council nel 1994.Oltre all’uranio, nel sottosuolo del Tibet vi sono 125 tipi di minerali tra i quali oro, litio, cromite, rame, borace, ferro e ferroerata. L’estrazione e lo sfruttamento di queste risorse ha prodotto circa 80 miliardi di dollari di profitti per il regime di Pechino. I giacimenti di petrolio della regione dell’Amdo consentono l’estrazione annuale di milioni di tonnellate di greggio. Nel febbraio 2000, un nuovo giacimento è stato individuato nel nord ovest del bacino e, nel marzo dello stesso anno, la Cina ha iniziato la costruzione del gasodotto Sebei-Lanzhou. Con l’aiuto delle compagnie petrolifere straniere, la produzione di gas e petrolio sta aumentando in modo vertiginoso. Tra le multinazionali straniere ricordiamo la Continental Minerals canadese intenta a sfruttare i giacimenti di rame e la nostra ENI/AGIP che già negli anni ‘90 ha contribuito all’ estrazione del gas e la costruzione di un gasodotto verso Lanzhou.
In tutte queste opere vengono impiegati principalmente lavoratori cinesi inclusi i prigionieri dei Laogai. Infatti va sottolineato che i benefici economici che derivano dalle attività di estrazione attraverso impieghi, infrastrutture e guadagni avvantaggiano gli immigrati cinesi Han e, soprattutto, il governo provinciale e quello nazionale : questo è il principio ispiratore che ha guidato il cosiddetto “sviluppo economico” del Tibet occupato.
Nel 2003 il governo cinese ha anche ridotto il numero di tibetani che erano impiegati nel governo e nell’amministrazione della città di Lhasa, come denunciato da Human Rights Watch nel suo rapporto del 2006. Assistiamo oggi anche al trasferimento forzato di migliaia di contadini. Decine di migliaia di pastori, nomadi e contadini tibetani sono costretti ora ad abbondonare le loro terre e i loro pascoli, ossia il loro habitat naturale, per essere trasferiti in case piccole e permanenti per acquistare le quali si sono indebitati con le banche. Non a caso il UN Human Development Index trova i tibetani in fondo alla classificazione mondiale a causa del loro basso tenore di vita. Lo sviluppo in Tibeti è principalmente urbano ed industriale mentre l’ 80% della popolazione tibetana è contadina e vive in zone rurali.
L’immigrazione, che già costituisce la più grande minaccia per la cultura tibetana, aumenta in maniera drammatica. Immigrati cinesi costruiscono nuove strade, stendono nuove linee elettriche e cablaggi in fibra ottica, controllano le nuove tecnologie. Le poche opportunità di formazione professionale e di acquisizione di nuove conoscenze che emergono da questo massiccio impiego di capitali sono riservati solo ai cinesi Han.
Poiché la maggior parte delle risorse tibetane sono esportate e usate in Cina, il Tibet non trae alcun beneficio da queste entrate poiché i burocrati che lo governano non incentivano la promozione a lungo termine delle risorse a favore delle popolazioni locali.
Quello che i tibetani chiedono è solamente il rispetto per l’ambiente tibetano naturale e la parteciazione della popolazione autoctona allo sviluppo. Purtroppo la visione della vita del regime di Pechino è,invece, un puro sfruttamento delle risorse umane ed ambientali a scopo di profitto.
Infatti nel Tibet cinese come nel resto della Cina tutto è permesso nel nome del nuovo dio: il Profitto. Quindi, in nome dell’utile e del lucro, è lecito inquinare le terre, i fiumi, i mari e l’atmosfera. Si tratta, quindi, dell’eterna battaglia tra chi crede che il denaro ed il profitto siano un mezzo e chi crede che il denaro, il profitto ed il rendiconto personale siano l’obbiettivo principale della vita umana.