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Il Natale in Cina: tra ricchi che comprano cioccolato e quelli che manifestano per i loro diritti

Natale a diverse velocità nella Cina che da un lato accusa la crisi mondiale e dall’altra tenta di nasconderla e di esorcizzarla. Sotto i riflettori, a Shanghai e Pechino, sembra che non ci siano problemi: negozi pieni di gente, strade piene di compratori che affollano i negozi, sia quelli economici che quelli delle più costose griffe mondiali. Altra parte della Cina invece, trascorrerà le prossime festività dinanzi ai cancelli chiuse delle fabbriche fallite, dinanzi ai palazzi governativi per manifestare. Secondo i dati diffusi all’associazione dei produttori di articoli natalizi, le vendite, anche in quest’anno di crisi, non hanno subito rallentamenti. Anzi: oltre al’80% di venduto all’estero, il 20% di prodotti natalizi vengono venduti in Cina e rappresentano una crescita del 50% di anno in anno. Piu’ alberi ed addobbi, quindi, anche nelle case cinesi, grazie soprattutto alle generazioni nate negli anni 80 e 90, più sensibili alle novità straniere. E sono sempre loro a tenere alte le vendite anche su internet. Secondo una ricerca di Visa International, i consumatori cinesi intendono spendere l’11% in più rispetto all’anno scorso, in acquisti on line. Complice anche la coincidenza astrale che porta il Capodanno Cinese (la più sentita festività della terra di mezzo) in anticipo prima della fine di gennaio non molto tempo dopo le festività natalizie e di capodanno, i negozianti delle grandi città si stanno sfregando le mani per gli affari che stanno facendo. Secondo la ricerca di Visa, i cinesi intendono spendere in media 822 dollari on line, il più grande incremento di tutta l’area dell’Asia-Pacifico dove si spenderanno circa 701 dollari a persona. Nelle ultime die settimane, Taobao, il più grande sito web di e-commerce, ha venduto oltre 2,8 milioni di confezioni regalo di cioccolato, il dono più diffuso seguito da vestiti scarpe, cosmetici e prodotti elettronici. Solo di cioccolato, prodotto che vede l’Italia essere primo esportatore in Cina, c’è stato un aumento nelle vendite del 30% rispetto all’anno scorso e i prodotti che vanno per la maggiore sono le confezioni tra i 50 e i 90 euro. Se si pensa che lo stipendio di molte parti della popolazione non supera i 100 euro mensili, si capisce chi riuscirà ad essere felice durante le prossime festività, nonostante la stampa cinese continui a dire che il popolo cinese sia uno dei più felici al mondo. Forse chi ha espresso questa felicità lo ha fatto dal finestrino della sua Ferrari, non certamente dai cancelli chiusi della fabbriche del Guangdong, provincia dove si concentrano molte fabbriche sia cinesi che straniere, una volta la locomotiva della Cina e che paga lo scotto di una crisi forte. La Cina, infatti, dipende ancora troppo dalle esportazioni, nonostante gli sforzi governativi di aumentare la domanda interna. La crisi mondiale ha portato ad una riduzione degli ordini e molti terzisti hanno dovuto chiudere, di punto in bianco, o spostare la produzione in zone più economiche, anche all’interno dello stesso paese. Questo ha portato un aumento delle manifestazioni di protesta in Cina che negli ultimi mesi hanno interessato l’intera area, anche se la stampa cinese da notizia esclusivamente di manifestazioni contro aziende straniere. Ogni anno in Cina ci sarebbero circa 100.000 manifestazioni. Ma non solo proteste per il lavoro perso. Nel Guangdong sono sotto l’occhio della stampa sia internazionale che cinese (obbligata dall’enorme esse di notizie, immagini e video diffuse su internet e che hanno raggiunto giornalisti di tutto il mondo) due cittadine di pescatori che lottano per questioni diverse. La prima, Wukan, ha combattuto per mesi (con la situazione degenerata in un un assedio nelle ultime due settimane) contro le requisizioni di terre, si è placata ieri l’altro dopo un compromesso tra i manifestanti e le autorità provinciali. Ad Haimen, invece, si combatte ancora. Da quattro giorni oltre 30.000 dei 120.000 pescatori della cittadina protestano per la costruzione di una seconda centrale a carbone, visto che la prima sta inquinando già abbastanza aria, acqua e terra, provocando un aumento di malattie polmonari. Dopo una giornata di tregua si è ritornati sulle barricate: la polizia ha bloccato gli accessi alla città ed ha lanciato lacrimogeni per disperdere la folla. A Wukan le autorità volevano, per trattare, che i giornalisti stranieri lasciassero la città. I manifestanti hanno invece chiesto, come sta succedendo ad Haimen, che i cronisti possano continuare a seguire, informare e denunciare. Nella città anti centrale elettrica si temono repressioni, che nel silenzio generale le autorità possano ricorrere all’esercito per portare la situazione alla calma. Per ora qui, a differenza di Shanghai, gli alberi di Natale servono a costruire barricate.

Fonte: Il Riformista, 24 dicembre 2011

Questo articolo e' stato scritto Mercoledì 28 Dicembre 2011 ed archiviato nella categoria News.

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